Lutto. Grazie Paolo per aver condiviso i tuoi doni
L'omelia di mons. Gildo Manicardi per il funerale del prof. Trionfini
“Paolo ha avuto molti doni e la sua riposta è stata sempre eccedente”, doni per tutti, per la sua famiglia, per l’Azione Cattolica, per la chiesa italiana e quella carpigiana, per l’ambiente accademico. Nelle parole, rotte dalla commozione, di mons. Gildo Manicardi, che ha presieduto le esequie del prof. Trionfini, è condensato il pensiero dell’amico e del sacerdote che ne ha accompagnato ogni passo nella crescita umana e spirituale. Lunedì 28 aprile, nel Duomo di Mirandola, per la celebrazione esequiale, tantissime persone si sono strette alla mamma Concetta, alla moglie Cinzia con i figli Giovanni e Anna, e a tutti i familiari. Tra questi il presidente nazionale dell’Azione Cattolica, Giuseppe Notarstefano e i predecessori Franco Miano e Matteo Truffelli. Tra i concelebranti don Carlo Bellini assistente diocesano dell’AC, don fabio Barbieri, parroco di Mirandola, insieme a numerosi sacerdoti. Una comunità ancora incredula e addolorata per la notizia della morte, avvenuta il 24 aprile, si era riunita anche domenica sera per la veglia di preghiera guidata da don Barbieri. Riportiamo di seguito l’omelia di mons. Manicardi che aiuta a conoscere Paolo Trionfini e a collocare nell’orizzonte della fede e dell’amore alla Chiesa la sua vita e la sua prematura scomparsa.
Nell’Anno Santo una Pasqua grande e difficile
Sabato mattina sono stato in piazza San Pietro per i funerali di Papa Francesco, almeno sei ore, in un certo senso da solo. Non sono riuscito a staccare le figure di Paolo e di Francesco per l’impatto, che entrambi questi defunti hanno avuto nella mia vita – impatto reale e concreto, anche se molto diverso e di differente durata. Due uomini grandi che, perché grandi, sono stati anche in alcuni risvolti difficili da capire, proprio in forza dell’originalità vera di molte loro intuizioni. Un anziano ecclesiastico (88 anni) molto comunicativo e chiaro, ma per questo circondato da molte incomprensioni e rifiuti. Un uomo vigoroso (58 anni, ossia trenta di meno) all’improvviso molto malato, da sempre taciturno e per questo non sempre facilitante il contatto esplicito con lui, a dispetto dell’indiscussa ammirazione che lo ha sempre involontariamente suscitato. Non si può essere grandi e piacere a tutti. Non si può essere forti nel pensiero ed esser capiti fino in fondo.
Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto
Da quando il nostro Paolo ha cominciato ad esser vittima dell’aneurisma e soprattutto da quando è morto, mi sono tornate molte volte nel cuore le parole di Marta, la sorella di Lazzaro che quasi rimprovera Gesù di avere abbandonato suo fratello: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21). Mi sono accorto con sorpresa che, nel caso del nostro amico Paolo, non riuscivo a condividerle. Paolo è morto mentre tu, Signore, eri qui, mentre eri con lui e mentre eri con noi. Nel Vangelo secondo Giovanni Marta esprime la fede a livello massimo. Anche se ha difficoltà ad accettare le morte e la lontananza del fratello, finisce per rispondere a Gesù: «Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo» (Gv 11,27). Nemmeno Pietro e nemmeno Tommaso arrivarono a tanto. Le parole di Marta rappresentano l’apice della confessione cristologica. L’apice della fede, infatti, può esserci solo quando si è sfidati duramente dalla morte, che come dice San Paolo è davvero «l’ultimo nemico».
Perché oso dire – parlando a voi e sperando di non ferire nessuno – che il Signore non era da un’altra parte quando Paolo s’ammalava, quando s’aggravava e quando moriva? Gesù non è morto in croce mentre il Padre era distratto o lontano. La morte non è una distrazione della vita, ma la sua chiave e la morte terrena – che secondo San Francesco è una sorella che non ci offende – prepara il ponte per condurci nell’eternità con il Signore risorto. È per questo che ogni giorno ripetiamo alla Madre di Gesù: «prega per noi peccatori adesso e nell’ora della morte».
La vita di un uomo non vale in proporzione al numero dei suoi anni
La vita di Papa Francesco non vale 88 e la vita di Paolo un più piccolo 58 anni. La vita umana vale secondo i doni che il Signore ci ha fatto per arricchire la vita stessa. I doni del Signore poi esistono soltanto nella misura della risposta che la persona riesce a maturare. Paolo ha avuto molti doni e la sua riposta è stata sempre eccedente. La dignità umana è il minimo del diritto di ogni persona umana; ma quello che siamo davvero è il dono di Dio, che si fa concreto solo attraverso le nostre risposte, che sono sempre drammatiche perché operatrici.
Alcuni doni di Paolo Trionfini
Mi permetto di accennare ad alcuni doni di Paolo – soltanto alcuni – e alle sue tenaci risposte. Paolo è stato plasmato come uomo e come cristiano attraverso l’Azione Cattolica, sul modello che ha funzionato stupendamente nel caso di Odoardo Focherini. Paolo stato plasmato dalla padana mamma Concetta e dal quasi milanese papà Edmondo. Poi dalla Parrocchia, dalla Diocesi e, da ultimo, dall’esperienza impegnativa del Centro Nazionale di Azione Cattolica, esperienza pagata anche da tutta la sua famiglia fossolese. Alcuni tratti incisivi, infatti di Paolo sono venuti negli ultimi tre decenni, dalla moglie Cinzia e dai figli Giovanni e Anna. Benedicendo, il 25 aprile, la lapide, adesso resa di nuovo leggibile, posta sulla facciata della casa giovanile di Odoardo Focherini in corso Alberto Pio a Carpi, ho visto cosa fu scritto nel gennaio del 1956 a circa dodici anni dal martirio: «La fede la speranza la carità, temprate nella fucina dell’Azione Cattolica, illuminarono la vita e la morte di Odoardo». Le virtù infuse direttamente dallo Spirito Santo e le relazioni umane sono l’indivisibile grandezza di un uomo e di una donna. Quanto la lapide dice di Odoardo è vero anche per Paolo, con la variante non indifferente, ma non banalizzante, che al posto della prigionia e del campo di concentramento vanno messi i mesi della malattia e il rischio ben consapevole.
Nella sua storia non lunga, ma intensissima, entra la sua grande passione culturale e sinceramente accademica. La storia della Chiesa contemporanea vista nel concreto delle persone, delle associazioni locali, delle correnti di pensiero e persino dei partiti è stata il suo cibo fin dall’adolescenza. Gli ideali compagni di strada sono stati gli uomini e le donne dell’Azione Cattolica Italiana e, in particolare, del cattolicesimo democratico. Non si possono capire i sogni umani ed ecclesiali di Paolo senza ricordare i suoi frequentatissimi amici: Vittorio Bachelet, Aldo Moro, Montini/Paolo VI, Don Primo Mazzolari. Tra i carpigiani inoltre hanno un posto importante: Mamma Nina, don Zeno Saltini, Odoardo Focherini e Mario Gasparini Casari. Gli ultimi due vissero venti anni meno di lui ma furono capaci di rendere vera la loro Chiesa.
La sua correttezza accademica scevra di trucchi, l’assenza assoluta di concorrenze sleali e scavalcamenti, la libertà da ogni risentimento sono stati una luce esemplare. Il gusto per la ricerca schietta e interessata solo alla verità che lo ha portato a coinvolgere anche altri nei “sacrifici quotidiani” non ha mai bloccato – credo – l’amore ininterrotto per la moglie Cinzia e la ricchezza – molto austera – dell’insegnamento dei figli. La scelta dei loro nomi – Giovanni e Anna – insistono sul rimando alla «Misericordia», nella ripetizione della radice ebraica hann– che entrambi li tocca. Basta pronunciarli bene: Gio–vanni e Anna. La misericordia è il dono fatto da Dio a tutti e la richiesta che Gesù rivolge all’uomo. Essa attraversa tutta l’alleanza di Dio, dal Vecchio al Nuovo Testamento. Non a caso, uno dei tratti che più hanno caratterizzato lo stile di Paolo è la sua capacità di misericordia, non nutrita dalla faciloneria bonacciona e pressapochistica, ma sgorgante dalla grande intelligenza. Persino la sua ironia, inseparabile coniuge dell’acutezza, era sempre benevola e leggera.
Esequie vuol dire seguire e accompagnare
Siamo davanti al Signore con Paolo e per Paolo. Penso che ci resti il compito di non lascarci scivolare via la sua testimonianza e la sua eredità. Il più grande insegnamento – è proprio il caso di dire — che Paolo regala è la consapevolezza che la Chiesa, anzi il Vangelo, hanno, oggi più che mai, bisogno di qualcuno che se ne faccia carico maturando per sé e per altri: acutezza, larghezza di vedute, dialogo, ascolto schietto e di pazienza tenace dall’intero di una realtà interpretata con verità, precisione e discrezione. In questo i credenti laici non sono meno indispensabili dei presbiteri.
Grazie, carissimo Paolo. Il tuo ricordo è uno dei segni che il Signore non ci lascia davvero soli. Non si tiene mai distante da noi. Come Gesù ha detto alla sorella di Lazzaro, il discepolo che Gesù amava, lui è il Figlio, che il Padre ha mandato nel mondo, perché anche noi diventassimo capaci di essere suoi degni figli. Il Signore è veramente risorto. Christòs anésti. Amen. Alleluia.