Papa Francesco. Il ricordo di monsignor Manicardi, vicario generale della Diocesi
Monsignor Gildo Manicardi, vicario generale della Diocesi di Carpi, ricorda Papa Francesco: il Vangelo attraverso quattro parole chiave
di Virginia Panzani
Papa Francesco e mons. Gildo Manicardi
Nella mattinata di lunedì 21 aprile, subito dopo aver appreso della morte di Papa Francesco, monsignor Gildo Manicardi, vicario generale della Diocesi di Carpi, ha rilasciato una intervista ai microfoni di Notizie sul sagrato della Cattedrale, dove il Santo Padre venne in visita otto anni fa.
Monsignor Manicardi, qual è la sua prima reazione alla notizia della morte del Papa?
Tutti sapevamo che da un momento all’altro poteva accadere. La preparazione che ha fatto verso la propria morte l’ha condivisa con tutti noi, quindi eravamo preparati. Certamente non ci aspettavamo che, dopo essere apparso ieri mattina a benedire i fedeli in piazza San Pietro, concedendo un’udienza al vicepresidente degli Stati Uniti d’America, molto discussa politicamente, così all’improvviso arrivasse questa notizia che abbiamo appreso tutti in modo abbastanza scioccante.
Che cosa le lascia l’incontro con Jorge Mario Bergoglio?
Mi ha lasciato molte emozioni, anche perché io l’ho conosciuto da cardinale quando partecipava al sinodo dei vescovi, dove io ero uno dei quattro teologi che coordinavano i pensieri. Ha dato una testimonianza fortissima, direi come quella di San Giovanni Paolo II, la testimonianza di spendere tutte le forze che si hanno fino alla fine per l’uomo e per il Signore, per la Chiesa e per il regno di Dio. E direi: quello che mi colpisce in lui, ancora più forse che in Giovanni Paolo II, proprio per il tipo di malattia che ha avuto, è che Francesco tutto quello che aveva nel cuore l’ha, per così dire, lasciato sgocciolare. Mi è venuta in mente l’immagine di una bottiglia, anche se non vorrei essere irriguardoso. La bottiglia può essere bevuta con gioia, ma quando il contenuto è molto buono, in dialetto carpigiano si dice “la vin scunida”, cioè si tengono anche le ultime gocce, le si fanno uscire con fatica. Direi che gli ultimi interventi così toccanti di Papa Francesco hanno proprio questa natura. Quindi una testimonianza umana e cristiana di primissimo livello, come nel caso del santo cui ha preso il nome, Francesco, così santo perché così uomo, così uomo perché veramente evangelico. Papa Francesco ci lascia proprio questo, la bellezza del cristianesimo, del Vangelo, e l’umanità: il Vangelo è la vera bellezza dell’umanità. Mi permetto poi un’altra valutazione. È morto proprio come Giovanni Paolo II, nel tempo di Pasqua, il 2 aprile Wojtyła, il 21 aprile Bergoglio, che è anche la data del Natale di Roma. Che cosa c’è diverso? E’ nel dove sono morti. Giovanni Paolo II nei palazzi apostolici dopo molti passaggi al Gemelli. Anche Papa Francesco, dopo molti passaggi al Gemelli, in Vaticano, però a Santa Marta. In questo “salto” c’è molto di quello che lui ha cercato di comunicare.
C’è una connotazione che fin dall’inizio ha caratterizzato Francesco, quella di venire dagli antipodi del mondo, dalla fine del mondo, come disse quando si presentò. E il grido dei poveri del sud del mondo è stato una sua costante…
Sì. Io qui darei qualche sfumatura che aiuta a capirlo profondamente. Viene dagli estremi confini. Già Giovanni Paolo II aveva detto di essere venuto da lontano. Francesco ha ripetuto questo motivo degli estremi confini della terra, della terra del fuoco, della Patagonia. Pensava all’estremo sud dell’Argentina. Ma io noto anche che Francesco è un grande gesuita, quindi ha sempre unito l’essere alla periferia, l’essere agli estremi confini con il cercare di essere al centro del mondo. Un ragazzo argentino, italo-argentino, che parla il dialetto piemontese, che comincia a studiare da prete, poi si lancia nella Compagnia di Gesù quando è ormai ventenne. Per lui c’è come una ellisse con due centri. Un centro è la periferia dove si vede meglio la realtà e l’altro è cercare di essere al centro del mondo, al centro dei problemi, esattamente come ha fatto nel suo pontificato.
La Chiesa di Carpi è grata per la visita che Papa Francesco fece qui il 2 aprile 2017, quindi è doveroso un ricordo anche di questo evento.
Il Santo Padre volle seguire, rispettare, per così dire, l’ufficialità. Infatti, la Cattedrale fu riaperta al culto, dopo il terremoto, dal segretario di stato, il cardinale Parolin, ma la settimana dopo venne il Papa con una visita che oserei definire più affettuosa. Ci fu una grande celebrazione in piazza, ma ci fu una visita anche a Mirandola con il Duomo ancora devastato. E’ stata proprio la sua cifra: al centro dei problemi, ma con un’estrema spontaneità e semplicità. Poteva venire solennemente per la riapertura della Cattedrale. Ha scelto quest’altra formula che lascia trasparire il grande dentro l’ordinario. È una cifra che faremmo bene a imparare.
Guardando al pontificato di Francesco quali sono gli aspetti più significativi, ricorrenti del suo magistero?
In questi pochi momenti dalla notizia della sua morte, ho pensato ad un piccolo Vangelo di Papa Francesco fatto di quattro parole. La prima è “Evangeli Gaudium”, la gioia del Vangelo, e direi il suo capolavoro nel quale in pochi mesi è riuscito a descrivere, in una bellissima esortazione apostolica, la sua visione di Chiesa.
Poi ci rimane un’espressione che in queste ore balzerà nel cuore di tanti: la “terza guerra mondiale a pezzi”. L’ha intuita con una profondità che tutti gli riconoscono. È morto sul limitare di questa possibile guerra. È morto pronunciando come ultime parole quelle che riguardano la pace.
Ma c’è un’altra sua espressione molto forte, la terza, il suo terzo Vangelo, una “Chiesa in uscita”. Non una Chiesa che si compiace dei suoi successi storici, culturali, caritativi, ma una Chiesa che sa uscire là dove c’è l’uomo, là dove c’è il ferito che il samaritano è chiamato a soccorrere. Credo che questa sarà una grossa eredità. Io aspetto, come ecclesiastico impaziente, di vedere come il successore di Papa Francesco raccoglierà questa eredità.
L’ultimo suo insegnamento, il quarto Vangelo, è “Pellegrini della speranza”, che richiama l’Anno Santo. La speranza non è quando tutto va bene. Le cose positive che si vedono non sono speranza, sono buon senso. Il “mestiere” del cristiano è quello di trovare la speranza in Gesù risorto, anche se apparentemente non c’è molto da sperare. Penso proprio che dobbiamo sentirlo come una testimonianza forte. Dunque, pace, gioia, e speranza. Se devo scegliere le tre virtù, oserei dire teologali, di Papa Francesco, mi sembrano queste.
Nella serata di lunedì 21 aprile, monsignor Gildo Manicardi ha presieduto in Cattedrale la Messa in suffragio di Papa Francesco. La celebrazione è stata preceduta dalla recita del Rosario per il Santo Padre.