Papa Francesco, il cambio di prospettiva. La freschezza del Vangelo anche nella comunicazione
di Luigi Lamma
16 marzo 2013 e 25 gennaio 2025. Il primo e l’ultimo incontro di Papa Francesco con i giornalisti. Il primo all’indomani dell’elezione avvenuta il 13 marzo dopo solo due giorni di conclave e cinque scrutini. L’ultimo nel corso del Giubileo del mondo della comunicazione, quando, già affaticato dalla malattia, non riuscì a leggere il suo discorso ma ebbe la forza di rivolgere alcune parole a braccio e la pazienza di compiere il suo giro per salutare ad uno ad uno tutti gli ospiti. Due appuntamenti che ho vissuto in diretta, ai quali si sono aggiunte altre occasioni di incontro nel corso del pontificato. Oltre alla straordinaria e indimenticabile visita a Carpi e Mirandola nel 2017.
Ripensando oggi alle parole “Ah come vorrei una chiesa povera e per i poveri”, pronunciate quel 16 marzo davanti ai media di tutto il mondo e al cammino di questi dodici anni di pontificato, come non constatare quanto Francesco sia stato fedele a questo programma. Lui di sicuro, con le parole, i gesti, gli incontri… profeta di una Chiesa in uscita che, specie nel vecchio occidente, ha arrancato per stare al suo passo. Appesantita dalla tradizione, dalle abitudini pastorali, da una certa supponenza da primi della classe (per non dire delle menzogne di complottisti e contestatori) la comunità ecclesiale per prima è apparsa in difficoltà nel cogliere la freschezza di un annuncio che origina dal Vangelo. Non così il popolo, i poveri, tutti coloro che si sono sentiti amati e abbracciati, allo stesso modo i non credenti molti dei quali oggi si sentono quasi orfani di un punto di riferimento per dare un senso e una prospettiva al futuro nonostante le ombre e le minacce del presente.
Il cambio di prospettiva nella visione delle dinamiche globali, nei meccanismi che generano ingiustizie e provocano miseria, come pure nel rapporto con le altre religioni, ha affrancato la Chiesa dal legame storico con l’occidente purificandone il messaggio di pace e di impegno per la libertà e la promozione della dignità umana. In questi dodici anni Francesco ha ribaltato anche le modalità della comunicazione del Papa e della Chiesa, spiazzando per primi gli addetti ai lavori dell’informazione cattolica. Linguaggio semplice, immediato, senza bisogno di “traduttori” dall’ecclesialese. Gesti eloquenti e quindi immagini che rappresentavano il messaggio più di ogni discorso. Interviste a tutto campo con giornalisti, ancora meglio se laici, senza curarsi troppo delle precedenze alle testate di casa. Telefonate in diretta televisiva a cogliere di sorpresa conduttori e spettatori. “Vi auguro di lavorare con serenità e con frutto, e di conoscere sempre meglio il Vangelo di Gesù Cristo e la realtà della Chiesa”, disse ai giornalisti quel 16 marzo.
Subito nessuno ci fece caso a quell’invito a conoscere sempre meglio il Vangelo, eppure è andata proprio così: il Vangelo fatto vita, che sia la vita sotto i riflettori del Papa o quella dei cristiani nella più sperduta delle comunità, dalla Mongolia a Papua, è sempre una grande notizia di pace, di giustizia, di misericordia e di liberazione da ogni forma di schiavitù. Al termine di questo entusiasmante cammino con Francesco raccogliamo il testimone dall’ultimo suo appello: raccontate la speranza! “Raccontare la speranza significa avere uno sguardo che trasforma le cose, le fa diventare ciò che potrebbero, che dovrebbero essere… Ed è questo che vi incoraggio a fare: raccontare la speranza, condividerla. Questa è – come direbbe San Paolo – la vostra ‘buona battaglia’. Grazie, cari amici! Benedico di cuore tutti voi e il vostro lavoro. E per favore, non dimenticatevi di pregare per me”. Grazie a te, caro Papa Francesco, nella tristezza di questo momento esplode lo stupore come ai discepoli di Emmaus: “non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi… e partirono senza indugio”.