Pasqua. Castellucci: “La fede nel Signore risorto sorge dal saperci amati da lui”
La celebrazione della Pasqua in Cattedrale a Carpi presieduta dal vescovo Erio Castellucci. Il testo dell’omelia
Dalla veglia pasquale celebrata la sera del 19 aprile, presieduta dal vicario generale mons. Gildo Manicardi alla celebrazione solenne della messa nel giorno di Pasqua presieduta dal vescovo Erio Castellucci: così il triduo pasquale in Cattedrale ha vissuto il suo apice con l’annuncio gioioso della Risurrezione di Gesù. Un annuncio di speranza, oggi più che mai atteso, che si accompagna al desiderio di pace che sale da tante parti del mondo. Di seguito il testo dell’omelia di mons. Castellucci pronunciata in Cattedrale a Carpi nel giorno di Pasqua.
Mentre la vita è movimento, la morte è immobile. Quando una persona muore, tutto in lei si arresta: il flusso del sangue, il battito del cuore, l’attività del respiro; ogni palpito di vita cessa, tutto rimane fermo. Il corpo della persona defunta chiede solo di essere lavato, rivestito e deposto, con dignità, nella tomba. Lo stesso luogo della sepoltura, il cimitero, suggerisce ai vivi atteggiamenti lenti, composti e convenienti: non ci si mette a correre o a ballare tra le tombe. Il racconto pasquale della tomba vuota crea un contrasto tra i segni di morte e i segni di vita, tra l’immobilità e il movimento. I segni di morte dominano l’ambiente. Il sepolcro, che Giovanni cita ben sette volte, sembra il protagonista della narrazione: e la pietra che lo copriva accresce il senso di pesantezza, in questo paesaggio di pietra. I teli e il sudario poi, dentro al sepolcro, danno quell’ulteriore tocco funebre che completa lo scenario di morte. Tutto è fermo, statico, immobile. Tutto assapora di morte, della sua natura fredda, rigida, definitiva. A ben vedere però l’evangelista presenta alcuni particolari fuori posto, che, se non descrivono un movimento, un segno di vita, lo suppongono. La pietra “era stata tolta dal sepolcro”: dunque non era al suo posto; qualcuno l’aveva mossa. I teli erano “posati là”, dentro la tomba, ma non avvolgevano più il corpo di Gesù: dunque, anch’essi erano stati trasferiti altrove. E infine il sudario era “avvolto in un luogo a parte”: dunque, era stato accuratamente piegato e riposto. Benché fermi, immobili, questi tre oggetti – la pietra, i lini e il sudario – testimoniavano che un movimento c’era stato: un movimento tale che nessuno dei tre era al proprio posto, nessuno svolgeva più la funzione funebre che aveva in precedenza. Ma sono soprattutto le corse di Maria di Magdala, Pietro e Giovanni a far da contrasto con l’immobilità dei segni di morte. Chi corre non solo è vivo, ma è vitale e vigoroso: quanto di più lontano dalla staticità della morte. Maria, vista la pietra tolta dal sepolcro, corse ad avvisare i due discepoli, i quali a loro volta corsero al sepolcro. Queste corse agitate sono percorsi di fede. Nei tre personaggi, una discepola e due discepoli, l’evangelista fotografa le prime reazioni possibili di fronte ai segni della risurrezione del Signore. Maria crede che il corpo di Gesù sia stato rubato, e avrà bisogno poi di incontrarlo – scambiandolo inizialmente per il giardiniere – per poter credere alla sua risurrezione (cf. Gv 20,11-18). Pietro constata che i lini sono dentro la tomba, e il sudario è piegato, il che è difficilmente compatibile con il furto della salma ipotizzato da Maria: i ladri non si prendono certo cura dei panni che avvolgono il defunto. Ma anche Pietro avrà bisogno di incontrare il Signore risorto, di mangiare e dialogare con lui, per poter credere. Solo del “discepolo amato” il Vangelo dice che già in quel momento “vide e credette”. Anche a lui Gesù apparirà, ma lui crede già ora, semplicemente vedendo il sepolcro vuoto. Maria e Pietro, dunque, ben presto crederanno, una volta che avranno avuto la prova delle apparizioni; ma il “discepolo amato” crede prima ancora di vedere. Perché? Forse proprio perché lui è il “discepolo amato”, cioè ciascuno di noi.
Un momento della veglia pasquale
L’evangelista mette ogni discepolo dentro a questa figura, per farci capire che la fede nel Signore risorto sorge dal saperci amati da lui. Senza questo amore, nessuna prova è sufficiente: né il sepolcro vuoto e nemmeno le apparizioni. Maria di Magdala e Pietro crederanno quando avranno sentito il loro nome pronunciato con amore dal Risorto: lei quando, piangente al sepolcro, si sentirà chiamare “Maria”, e riconoscerà la voce di colui a cui aveva voluto tanto bene, rispondendogli: “Rabbunì” (cf. Gv 20,16); e Pietro quando, sul lago, si sentirà chiamare “Simone di Giovanni” e risponderà per tre volte la domanda di Gesù sull’amore: “Signore, tu lo sai che ti amo” (cf. Gv 21,15-17). A quel punto anche Maria e Pietro sapranno di essere discepoli amati, e crederanno. La fede pasquale è un cammino: la tomba vuota e le apparizioni sono stati dei segni che hanno guidato le prime discepole e i primi discepoli, ma il segno decisivo è l’amore; senza l’esperienza di essere amati dal Signore, nessuna prova sarà mai sufficiente per credere. Noi, che non abbiamo visto il sepolcro vuoto di Gesù e non siamo stati raggiunti da alcuna apparizione, crediamo non per queste prove, ma perché i primi testimoni ci risultano degni di fede; ma soprattutto crediamo – come loro – perché degno di fede è l’amore: una Chiesa che testimonia l’amore di Dio, certo in mezzo a tanti limiti umani, è il segno più grande della risurrezione del Signore. Tra tanti segni di morte, di odio e di violenza, l’amore rimette in moto le nostre membra stanche, attiva la corsa di chi non si rassegna all’immutabilità della morte; l’amore stupisce ancora e genera vita.
La Corale della Cattedrale che ha animato la veglia pasquale
Video dell’Omelia del Vescovo