L’amore per la vita che porta tanta luce nelle notti del mondo
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
I vangeli ci raccontano che, nelle ore precedenti la morte di Gesù in croce, “il cielo si fece buio su tutta la terra”. Gli studiosi si interrogano. Si è trattato di un fenomeno meteorologico o di un racconto teologico, secondo lo stile ebraico? Non abbiamo certezze. Le due cose peraltro potrebbero essere entrambe plausibili. C’è comunque una terza ipotesi interpretativa, quella simbolica, qui a ricordarci che causare la morte delle persone è sempre uno spegnere la luce nel mondo, per lasciare il posto alla notte con le sue tenebre. Il rimando mi porta a Sumy, in Ucraina, dove trentaquattro cristiani che stanno andando a ricevere le palme nella vicina chiesa vengono dilaniati da un missile russo. Senza dimenticare i tanti innocenti uccisi nella Striscia di Gaza, quasi si trattasse di una disinfestazione da insetti nocivi e l’infinita schiera di persone che perdono la vita a causa del cuore violento di altre persone. Pensando al Golgota, nei giorni scorsi una notizia di cronaca che veniva da Parigi mi ha fatto pensare a come sia facile spegnere la luce del mondo, giustificandolo in nome della civiltà e della libertà. In fondo anche uccidere Gesù fu considerato gesto politicamente risolutorio di vari problemi e conforme al sentire delle maggioranze.
Giovedì 3 aprile, l’emittente francese Figaro Tv ha mandato in onda il documentario Ensemble sui volontari che assistono persone in cure palliative, ovviamente funzionale a riflettere sull’eutanasia. Ad assistere alla trasmissione era stato invitato il famosissimo scrittore Houllebecq noto per l’abilità nel raccontare le miserie sessuali del nostro tempo, l’individualismo e la solitudine delle società liberali, le ipocrisie e i rischi delle false integrazioni sociali… Una penna, la sua, quasi brutale nel descrivere ciò che succede e certamente lontanissima da qualsiasi condizionamento di tipo morale o religioso.
Houllebecq, dopo aver visto il documentario ha detto di esserne stato sconvolto. Negli occhi e nell’animo si portava dentro la provocazione di Angela, malata terminale, che chiedeva di potersi truccare fino alla soglia della morte, perché pensare alla vita produce quell’ottimismo fondamentale per andare avanti. Non aveva bisogno di pensare alla morte, né, tantomeno di anticiparla. Da qui, lo scrittore è arrivato a dire che è l’essenza della civiltà quella di ripudiare la morte. «Quando – sono parole sue – una civiltà arriva a legalizzare l’eutanasia perde ogni diritto al rispetto. Diventa allora non solo legittimo, ma auspicabile distruggerla, in modo che un’altra civiltà prenda il suo posto». «Non c’è bisogno di essere cattolici reazionari per essere contrari » ha aggiunto e «non siamo neppure degli stupidi ritardatari rispetto agli intelligenti ed entusiasti progressisti, che si sono buttati sull’eutanasia».
Parole terribili che nessun cristiano avrebbe probabilmente il coraggio di ripetere con uguale crudezza, forse anche intimorito da quel sentire diffuso che vede nell’eutanasia una conquista di libertà e di civiltà. Per noi rimane comunque forte la parola della Risurrezione, qui a ricordarci con Agostino che «gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando si è verificato un fatto ancora più incredibile, quello di un Dio morto per loro». Giusto per affermare che la vita non è un tratto biologico di cui siamo padroni e gestori, ma solo un gradino, talvolta impegnativo, dentro ai disegni misteriosi di Dio.