Intervista ad Antonio Nicaso
CulturalMente, a cura di Francesco Natale
“Senza scorciatoie. Una storia per dire no alle ingiustizie” (Mondadori, 2025) è un libro che intreccia sport, giovani e legalità. Gli autori sono Antonio Nicaso, uno dei massimi esperti dei fenomeni di tipo mafioso, docente di Storia sociale della criminalità organizzata alla Queen’s University in Canada, scrittore di oltre cinquanta libri e protagonista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente, e Nicola Gratteri, procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e magistrato tra i più esposti nella lotta alla ’ndrangheta, che vive sotto scorta dal 1989.
Nel suo libro si parla di sport e legalità. Come lo sport può sconfiggere la criminalità organizzata?
Lo sport è sempre stato una sorta di magnetismo socializzante, nel senso che ha dato un senso a molti giovani che hanno avuto la possibilità di trovarsi e di impegnare le loro giornate, evitando l’ozio e la noia che ovviamente non sono situazioni che ti aiutano a crescere. Quindi lo sport è sempre stato un momento di svago, ma anche un momento per stringere relazioni con altri, per creare un senso di comunità. Quando si vive e si cresce assieme spesso si evitano situazioni di disagio sociale, coinvolgimenti pericolosi come possono essere le gang o le bande che poi ti portano a fare delle cose che ovviamente ti compromettono la vita.
Le baby gang di cui lei parla sono l’anticamera della mafia?
Sono una sorta di vivaio, non sempre delle mafie, perché poi ci sono delle mafie che tendono a crearsi la nuova linfa all’interno, ci sono delle mafie che sono familistiche, però spesso nelle grandi città l’apprendistato criminale si fa proprio nelle bande, o quantomeno facendosi notare. L’affiliazione alle organizzazioni mafiose avviene attraverso una forma di cooptazione, ci sono delle persone che vanno a individuare le nuove reclute, quelle che sono più prone all’obbedienza. Le mafie vanno sempre alla ricerca di chi è pronto a obbedire senza mai farsi domande, questo è un aspetto fondamentale perché quando si studia, si acquisisce conoscenza, si ha quella consapevolezza di fare la scelta giusta. Quello che i mafiosi odiano sono proprio le scuole, l’istruzione, quella capacità di scegliere. I mafiosi quando vanno alla ricerca di nuove reclute hanno bisogno di soldatini, di utili idioti, di gente che obbedisce senza mai farsi delle domande. Chi di fronte a un ordine si chiede perché bisogna farlo è già fuori. L’aspetto che bisognerebbe sempre ricordare è questo: molti pensano alla glorificazione, alla rappresentazione cinematografica e televisiva, dove tutti quanti hanno un ruolo, invece bisognerebbe ricordare che nelle mafie quelli che si arricchiscono veramente sono pochi, il resto sono utili idioti che servono ma che possono essere facilmente sostituiti.
Con questo libro scritto con Gratteri si rivolge ai ragazzi. Perché?
Perché è l’unica fascia sociale per la quale vale la pena spendersi veramente, nel senso che i giovani sono delle spugne, sono quelli che hanno poi la capacità di riflettere e se li fai crescere subito all’inizio, li poni subito di fronte ai problemi della vita e fai capire loro che solo i sacrifici rendono liberi, che bisogna evitare le scorciatoie, che bisogna studiare, che bisogna evitare le cattive compagnie. Probabilmente è il momento giusto per farli riflettere sulla bellezza della vita e sulle possibili conseguenze di una scelta sbagliata.
La mafia dei grandi boss, delle sparatorie, ormai sembra essere scomparsa, non se ne parla quasi più…
Questo è il problema, nel senso che purtroppo le mafie in Italia non le abbiamo mai combattute con una certa continuità, non abbiamo fatto quello che è stato fatto con il brigantaggio, con il terrorismo, con l’eversione di destra o di sinistra. Le mafie sono riuscite sempre a sopravvivere inizialmente perché erano patologie del potere, quindi prodotti dalle classi dirigenti, e poi perché una parte dello Stato spesso più che combatterle ha finito per tutelare e proteggere. Quindi non sono affatto sconfitte. Oggi sparano di meno perché non hanno la necessità di farlo. Se noi andiamo a valutare i dati scopriamo che nell’ultimo anno ci sono stati 15 omicidi in tutta l’Italia riconducibili ai clan, delle cifre chiaramente bassissime, ma questo non significa che le mafie sono scomparse, le mafie sono sempre più forti. Bisognerebbe spazzare via la convinzione che le mafie esistano solo quando sparano; quando non sparano sono ancora più pericolose. Quindi non bisogna mai abbassare la guardia e bisognerebbe combatterle con riforme normative, ma soprattutto ricordando quello che diceva Gesualdo Bufalino, scrittore siciliano che sosteneva che per combatterle è necessario un esercito di maestri elementari. Occorre ricordare che le mafie si combattono soprattutto con la cultura, sul piano culturale e non soltanto con le manette e le sentenze.