Quelle parole del Papa che raccontano molto più di quanto dicono
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Sono struggenti le parole che alcune sere fa papa Francesco ha voluto risuonassero nella piazza orante di San Pietro a Roma. Parole impastate di fatica di vivere. Non quella psicologica di chi ha perduto le ragioni per andare avanti, ma quella fisica, quando il corpo sembra ribellarsi, rinunciando a sincronizzarsi con la volontà, il pensiero e la libertà di fare. Parole sussurrate lentamente dopo aver rubato un po’ di ossigeno al fiato, diventato sempre più precario e filiforme.
Ma più che parole mi sono sembrate un gesto iconico. Mi ricordavano l’ultima apparizione di san Giovanni Paolo II quando affacciandosi dalla finestra dei palazzi vaticani per l’Angelus, cercò di dire qualcosa alla folla che era venuta a salutarlo. Cercò disperatamente di cavare qualche parola, senza riuscirci. Diede una sberla al davanzale. In quel gesto era racchiusa la percezione del tutto è compiuto, come molti secoli prima sulle alture del Golgota. Nessuno udì il suono di parole che non vennero, ma quel gesto parlò al mondo più di mille parole.
Anche le parole di papa Francesco raccontano molto più di quello che dicono. Qualcuno ha voluto vedervi la volontà di smentire i profeti di sventura, ossia le Cassandre che lo volevano già passato a miglior vita. Sport da dietrologia, ampiamente praticato e caro ai chi coltiva speranze frustrate. Non credo fosse questa la prima intenzione del papa. Da quando è arrivato a capo della Chiesa c’è stata una costante che lo ha sempre accompagnato, ossia la volontà della trasparenza. La Chiesa non poteva più essere il luogo dei misteri, del non detto, delle ipocrisie, quelle di chi dice in pubblico l’opposto di quanto si racconta nelle sacrestie. A chi gli chiese un giorno chi era il papa, lui rispose quasi brutalmente: un peccatore. Francesco è anche questo, anzi soprattutto questo, ossia il coraggio di presentarsi nudo davanti al mondo. In questo caso, la nudità della malattia, di cui lui ha la percezione nitida e dolorosa. I bollettini ci parlano di “condizioni stabili” dentro un “quadro complesso”, che non consente di sciogliere la prognosi. È quell’aggettivo, stabile, che mette disagio, molto più di quanto non dica a prima vista, assomigliando alla cadenza da fermi del passo militare quando non si va da nessuna parte.
Il papa nudo. Nudo nel suo bisogno di tenerezza, che parla ai suoi figli che non sono accanto a lui fisicamente, per sfiorarlo con una carezza, per sussurrargli qualche parola intrisa di segreto e complicità, per regalargli un bacio e dirgli un grazie che vale una benedizione. È il destino dei profeti quello di andarsene in solitudine, mentre ai piedi della croce si muove il mondo vociante di chi piange, di chi ride, di chi giudica… C’è un ultimo aspetto nelle parole del papa che tocca il cuore, perché vestite col colore e il calore della sua lingua madre, quella della terra alla fine del mondo da dove è venuto. Lingua madre. È tanto più di un idioma con cui capirsi. Essa è casa, è famiglia, infanzia, amicizia, amori, lacrime, gioia, passione sportiva e politica… è il nido su cui è fiorita la coscienza, la fede, le tradizioni e i costumi di vita. È la patria che manca, su cui si diffondono le note della nostalgia, quando le forze ti abbandonano.