Il Signore è mia luce e mia salvezza
Vangelo di domenica 16 marzo
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Commento
A cura di Rosalba Manes, consacrata ordo virginum e biblista
Bellezza ad alta quota
Luca ci conduce dal deserto al monte e ci invita a salire per andare oltre le fatiche quotidiane e sperimentare la levità, il riposo, la sobria ebbrezza dell’incontro con Dio. L’episodio della trasfigurazione è una storia di estasi in cui Gesù invita tre dei suoi discepoli, i più vicini e i più “sanguigni” del suo team, a salire con lui per partecipare a un momento intimo della sua vita: la preghiera.
Gesù ha saziato le folle affamate trasformando il poco in molto, ha effettuato un sondaggio tra i discepoli per sapere cosa pensasse la gente di lui e ha rivolto loro la stessa domanda ricevendo da Pietro la risposta corretta: “Il Cristo di Dio!”. Ora, è proprio a seguito di questa dichiarazione che egli inizia il suo svelamento e parla della sua pasqua in tre tappe: sofferenza, morte e risurrezione. Questa danza pasquale non tocca solo Gesù, ma anche chiunque decida di seguirlo. Seguirlo, infatti, non significa avere vitto e alloggio assicurati fino alla fine dei propri giorni, né ricevere un’assicurazione contro danni, furti o infortuni. Andare dietro a lui significa piuttosto lasciarsi “battezzare” nella complessità della vita, abitare le prove, attraversare il fallimento, accettare i paradossi, in poche parole perdere la vita per salvarla.
Gesù insegna che il discepolato non riflette logiche commerciali o politiche, non contempla scorciatoie o raccomandazioni, ma procede solo per dinamiche di attrazione, per esperienza di seduzione. Si segue il Maestro non perché conviene, né per dovere morale, né per un’ingiunzione esterna, né per assecondare i capricci delle mode. Si segue il Maestro per amore, perché la sua grazia vale più della propria vita (cf. Sal 63,4), in quanto ne svela il senso profondo, lo illumina e lo rende pieno.
Dopo aver parlato della croce, Gesù permette che i suoi amici sperimentino un anticipo di risurrezione. Egli prega e su quell’altura irrompe l’inedito di Dio: la metamorfosi di un volto, la luminosità che il corpo tra-smette alle vesti. È un tripudio di luce perché, come prega Israele, “Dio, il Signore, è la nostra luce” (Sal 118,27)! La gloria di Dio celebra le sue nozze con la carne umana. La divino-umanità di Gesù è un mistero da contemplare ad alta quota, è un’alleanza indissolubile che fa venire le vertigini.
E mentre i tre sono colti dal sonno, compaiono Mosè ed Elia, gli uomini dell’alleanza, i “sedotti” dal Signore, maltrattati dagli uomini ma coccolati da Dio. Non sono gli attori di un film muto, ma i protagonisti di un dialogo che attesta che Gesù è la cerniera tra due condizioni: la vita terrena e la vita eterna. I discepoli si svegliano e avvertono il brivido del divino: è “bella” questa pagina della loro storia. La comunione tra cielo e terra che Gesù rende possibile è letta mediante la categoria della bellezza. Pietro vorrebbe immortalare questo momento, ma la bellezza non è un oggetto da possedere: se provi a toccarla e trattenerla, si sciupa e sfiorisce.
La bellezza è un tesoro da custodire delicatamente e da riporre nello scrigno interiore. Il Padre soltanto, che ne è l’artefice, la può rivelare: la bellezza non è una cosa ma qualcuno, è il Figlio suo, “l’eletto”, bellezza che non solo va contemplata, ma anche ascoltata, cioè amata. È l’amore, infatti, la via della vita, il segreto della pienezza. Esso non va ostentato, né gridato. Va covato nel silenzio, allevato lontano dai frastuoni, nutrito nel nido fecondo della preghiera, consolidato nella tenerezza dell’abbraccio tra il Padre e il Figlio.
I discepoli, entrando in orazione, vedono la trasformazione o trasfigurazione di Gesù, e Mosè ed Elia (che sono il simbolo di tutta la Legge e dei Profeti) che parlano con lui. Anche voi nella preghiera vi trasfigurate, cioè la realtà intima e profonda di Dio in voi pervade tutto il vostro essere e lo riporta all’unità, assieme all’anima. Stando vicino al Signore si libera quella potenza di Dio che è dentro di noi. Quando invece tu non preghi non ti trasfiguri, perché rimani sempre pesante con i tuoi lamenti, con le tue paranoie, con le tue offese ed ecco che il corpo, come dice San Paolo, soffoca questa realtà e la liberazione della potenza meravigliosa della nostra identità in Dio. Quando ti immergi nella preghiera anche i fratelli e le sorelle si trasfigurano, cambiano aspetto e senti che sorge in te il bisogno di dir loro che vuoi loro bene, il bisogno di chiedere perdono per tutte le volte che non li hai capiti in Dio, per tutte le volte che non hai visto la loro bellezza. I vostri figli, nella misura in cui si immergono in Dio, si trasfigurano; il loro volto, il loro corpo cambia, diventa diverso. Che vi venga una voglia di immergervi nella preghiera per trasfi gurare tutto! Cristo vi tormenti fino a che non vedrete tutte le cose in lui!
Don Oreste Benzi (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)
L’opera d’arte
Gerard David, Trasfigurazione di Cristo con donatori (1520 ca.), Bruges, Onze-Lieve-Vrouwekerk. La tavola dipinta da Gerard David, uno dei più grandi maestri della pittura fiamminga tra ‘400 e ‘500, segue da vicino la lettura del Vangelo di questa domenica. Tutto ciò che vi si legge è raffigurato: Mosè ed Elia, Gesù sul monte con la veste bianca, sopra di lui Dio Padre avvolto dalla nube, Gerusalemme sullo sfondo, i tre discepoli che assistono alla mirabile visione. Ai lati sono dipinti i ritratti dei donatori che hanno commissionato l’opera, Anselmus de Boodt a sinistra e Johanna Voet a destra, con i loro figli (qui visibili parzialmente).
I pannelli laterali furono realizzati da un altro pittore fiammingo, Pieter Pourbus, nel 1573, circa cinquant’anni dopo il pannello centrale. I gesti di Pietro, Giovanni e Giacomo sono molto espressivi e “raccontano” atteggiamenti di stupore, timore, meraviglia. Persino Mosè ed Elia, più che conversare con il Cristo, sembrano essere in contemplazione della sua figura luminosa. Questi elementi, insieme ai ritratti dei committenti in preghiera, sono di stimolo affinché l’osservatore possa immedesimarsi nella scena e fermarsi ad ammirarla in raccoglimento.
V.P.