Resta con noi, Signore, nell’ora della prova
Vangelo di domenica 9 marzo
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: “Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano”; e anche: “Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra”». Gesù gli rispose: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.
Commento
A cura di Rosalba Manes consacrata ordo virginum e biblista
Un’identità filiale che non vacilla Col battesimo di Giovanni, Gesù entra nelle acque del Giordano purificando con le sue carni sante quella fonte dove s’immergevano i peccatori. Che Gesù non abbia alcuna relazione con il peccato lo sa bene Giovanni che vorrebbe essere battezzato da lui piuttosto che battezzarlo e, ancor di più, lo sa il Padre, la cui voce squarcia il cielo per rivelare l’identità del suo Figlio amato, colui che è la residenza privilegiata della sua fierezza e della sua gioia.
Dopo questo evento rivelativo e l’investitura regale con quale il Padre inaugura il ministero pubblico del Figlio, lo Spirito lo conduce nel deserto. Si tratta di un percorso inverso rispetto a quello del popolo di Dio: mentre Israele sperimenta prima il percorso nel deserto e poi il passaggio del Giordano in direzione della Terra Promessa, Gesù attraversa prima il Giordano e poi, «pieno di Spirito Santo », si allontana dal Giordano «guidato dallo Spirito nel deserto». Il soggiorno del popolo nel deserto fu di quarant’anni, quello di Gesù di quaranta giorni, decisamente più breve ma del tutto privo di mezzi di sussistenza.
Conclusosi questo tempo, Gesù avverte i morsi della fame solidarizzando con la fame di ogni essere umano. La storia biblica ci parla di alleanze umane che nascono per scampare alla fame, mentre Luca riferisce che Gesù è solo e non ha alleati all’infuori del Padre suo. C’è qualcuno però che approfitta di questo momento di debolezza di Gesù per insinuare il dubbio sulla sua identità di figlio amato del Padre. Per tre volte infatti il diavolo lo mette alla prova e il ritornello che appare nella prima e nella terza tentazione è identico: «Se tu sei Figlio di Dio…». Il diavolo quindi insinua il sospetto circa la sua filiazione divina. Per satana Gesù può scardinare il sospetto solo dando prova della sua onnipotenza, ostentando il potere condiviso con il Padre.
Così il diavolo presenta la fame come una privazione inammissibile per il Figlio di Dio che ha il potere di trasformare persino le pietre in pane. La tentazione diabolica fa leva sul potere di agire sull’identità delle cose create. Gesù reagisce citando un passo del Deuteronomio che riflette l’ermeneutica sapienziale appresa da Israele nel deserto: «Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo”» (Dt 8,3). La vita dell’uomo è più grande del suo bisogno di pane. Il tentatore propone poi a Gesù di prostrarsi davanti a lui per adorarlo e ricevere in cambio da lui tutti i regni della terra. È la tentazione del potere materiale che Gesù fronteggia attingendo ancora al Libro del Deuteronomio: «Sta scritto: “Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto”» (Dt 6,13).
La terza ed ultima tentazione diabolica fa leva sull’autorità spirituale. Il diavolo, citando il Sal 91,11-12, invita Gesù a gettarsi giù dal pinnacolo del tempio, fiducioso dell’intervento delle schiere angeliche. Anche questa volta Gesù risponde con un versetto del Deuteronomio: «È stato detto: “Non metterai alla prova il Signore Dio tuo”» (Dt 6,16). Gesù respinge le tentazioni diaboliche una dopo l’altra, ricorrendo alle Scritture di Israele, non per manipolarle e strumentalizzarle come fa satana, ma per sostenere con forza il primato di Dio Padre e del suo potere e relativizzare rispetto a lui ogni cosa e ogni potere, persino quello spirituale. Il potere del Padre non è qualcosa che Gesù sfoggia per dare prova delle sue capacità, ma il motore di quella “debolezza di cuore” o misericordia che lo spinge alla cura premurosa e amorevole delle sue creature, cura che si fa compassione, immedesimazione, tenerezza.
Gesù è il Figlio di Dio, ma è anche un essere pienamente umano, e le tentazioni lo dimostrano. Gesù rifiuta il regno di Satana, il quale gli promette di dargli tutti i regni del mondo se si prostrerà davanti a lui adorandolo. Gesù rifiuta la tentazione di essere un Messia che soddisfa solo i bisogni terreni dell’uomo, ma afferma decisamente che egli è venuto per unire l’uomo a Dio e allora anche i sani bisogni naturali dell’uomo saranno soddisfatti, infatti non di solo pane vive l’uomo. Gesù rifiuta ogni tipo di esibizionismo: lui attuerà la salvezza nell’umanità, nella sofferenza e nella fede. Siamo circondati da tutte queste tentazioni. Ogni cosa può essere usata da Satana per farla diventare il nostro dio pagano: la gloria umana, la stima degli altri, l’affermazione dell’io, l’eliminazione di chi è più di noi, il possesso delle cose quali la macchina, la casa, gli animali, ecc. Non prostrarti davanti a queste cose! Non potrai mai dialogare con tutto ciò; sarai posseduto, sarai schiavo, sarai terribilmente solo. L’uomo senza Gesù muore per le cose che muoiono! Vivi da figlio di Dio e userai le cose come mezzi, non più come scopo, per vivere in Gesù.
Don Oreste Benzi (Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)
L’opera d’arte
William Dyce, Uomo dei dolori (1860 circa), Edimburgo, National Galleries of Scotland. L’autore dell’opera qui a fianco, lo scozzese William Dyce, grande appassionato della pittura italiana del ‘300-‘400 e uno degli ispiratori del movimento dei preraffaelliti nell’‘800 inglese, raffigura Cristo durante i quaranta giorni di digiuno nel deserto, ma lo fa in maniera del tutto insolita. A partire dall’ambientazione, che non è quella, per così dire, mediorientale ma riproduce il tipico paesaggio scozzese delle Highlands, come nell’intento di favorire una più immediata immedesimazione da parte degli osservatori connazionali dell’artista.
Gesù è seduto su di un seggio formato da un masso di roccia, le mani congiunte, la testa reclinata e lo sguardo rivolto verso il basso, in meditazione: la profonda tristezza in cui è immerso si rispecchia nella desolazione del paesaggio circostante. Dunque, l’esperienza di Gesù condotto dallo Spirito nel deserto diventa, nella trasposizione di Dyce, il veicolo per condurre lo spettatore ad una riflessione più ampia sui patimenti di Gesù, sulla sua Passione, da qui il titolo dell’opera “Uomo dei dolori”.
V.P.