Intervista a Luca Luccitelli
CulturalMente, a cura di Francesco Natale
Protagonista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente è Luca Luccitelli, capo ufficio stampa della Comunità Papa Giovanni XXIII e autore assieme a Giovanni Fortugno del libro “Figli venuti dal mare. Storie di dolore e di speranza di piccoli migranti soli” (Sempre Editore, 2024).
Cosa c’è dietro la sigla MSNA (Minori Stranieri Non Accompagnati)?
Sono piccoli migranti, i più fragili tra coloro che cercano una nuova vita. Le persone che migrano sono esposte ad innumerevoli rischi: non hanno un riparo, non riescono a lavorare regolarmente, non possono accedere alla sanità, all’istruzione. I bambini ed i ragazzini che migrano sono esposti a rischi ancora maggiori, perché sono senza famiglia, non hanno nessuno che possa proteggerli, accompagnarli, incoraggiarli, sostenerli. Sono i più fragili tra i fragili. Sono soli. Tutti hanno percorso migliaia di chilometri, da soli.
Questi ragazzi sono consapevoli dei pericoli che devono affrontare?
In un capitolo del libro racconto la storia di Yonas, il nome è di fantasia, un ragazzo che è partito dalle Eritrea quando aveva 15 anni perché è costretto a combattere al fronte. Suo padre era in prigione per ragioni politiche e suo fratello era morto in guerra. L’Eritrea è un paese poverissimo, isolato e militarizzato. Alcuni analisti la chiamano la “Corea del nord africana”. Le Nazioni Unite hanno più volte denunciato l’assenza di libere elezioni e delle libertà civili. In Eritrea vige l’obbligatorietà del servizio militare nazionale per tutti i cittadini tra i 18 e i 50 anni, indipendentemente dal sesso, ma in realtà i ragazzi vengono reclutati dai 15 anni in su per essere inviati al fronte della guerra con l’Etiopia. Yonas ha dovuto percorrere migliaia di chilometri da solo, ha visto persone morire al suo fianco, è stato imprigionato in Libia ed è stato torturato. Tutto questo quando aveva 15 anni. Alla fine gli ho chiesto “Yonas tu sapevi della pericolosità del deserto, sapevi di quello che succede in Libia ed infine del pericolo nell’attraversare il mare Mediterraneo?”. E lui mi ha risposto: “sì lo sapevo, sapevo tutto ma mettermi in viaggio e cercare di raggiungere l’Europa era la mia unica speranza”.
C’è una storia di questi giovani migranti che l’ha colpita maggiormente?
Quando sono stato alla Casa dell’Annunziata a Reggio Calabria sono rimasto colpito da Fatima, una bimba di circa 10 anni. Fatima è una bambina che non passa inosservata. Non può. Il suo volto è completamente ustionato, il naso è schiacciato dalla pelle deformata, il lobo auricolare destro è assente ed anche la mano destra presenta cicatrici. Guardare Fatima per la prima volta è un pugno nello stomaco. Ma ciò che colpisce di più è il suo sguardo. Deciso, puro, solare. E’ uno sguardo senza paura, senza vergogna. Probabilmente Fatima sa che non deve vergognarsi di nulla, ciò che ha provocato la devastazione del suo volto non è certo colpa sua. E’ una bimba piena di gioia di vivere e trasmette entusiasmo a chi le sta vicino. La sua particolarità è che proviene dalla Siria. Dalle nostre ricerche, incrociando i dati che abbiamo trovato, abbiamo scoperto che lei è stata vittima di una bomba chimica usate dal regime di Assad contro la sua stessa popolazione. La famiglia di Fatima per fuggire dalla guerra si è rifugiata in Libano, un paese in cui i profughi siriani sono discriminati. Da qui lei è dovuta partire, da sola, con un aereo arrivare in Libia e da qui imbarcarsi con un gommone per raggiungere la Calabria.
Qual è la cosa più difficile che deve affrontare un minore straniero non accompagnato una volta giunto in Italia?
L’integrazione. Una volta che sono arrivati qui questi ragazzi hanno bisogno di integrarsi e cominciare qui una nuova vita. In questo modo possono salvare loro stessi e poi una volta cresciuti e una volta che possono iniziare a lavorare allora possono cominciare ad inviare soldi alle loro famiglie e ai loro fratelli e sorelle rimasti nel loro paese. Se questo non succede allora diventano vittime della malavita e del crimine che regna nelle periferie delle nostre città.
Com’è stato collaborare con Giovanni Fortugno?
Sono dieci anni che Giovanni ha aperto questa casa a Reggio Calabria dopo che erano iniziati i numerosi sbarchi nella città. Lui ci ha messo la vita e io le parole. Così abbiamo raccontato le storie – di dolore e di speranza – di questi bambini e ragazzi: da dove sono partiti, il viaggio e l’integrazione nel nostro paese. Sono storie vere. Sono le storie di questi figli venuti dal mare.