Beato l’uomo che confida nel Signore
Commento al Vangelo di domenica 16 febbraio
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. Ed egli, alzati gli occhi verso i suoi discepoli, diceva: “Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio. Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati. Beati voi, che ora piangete, perché riderete. Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo. Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti. (…)”.
Commento
Chiamati a una felicità duratura
A cura di Rosalba Manes, Consacrata ordo virginum e biblista
In una pianura gremita di gente, Luca colloca un insegnamento dirompente di Gesù che ha la forza di un terremoto: dalla sua bocca si sprigionano quattro beatitudini, vale a dire litanie di felicità, e quattro guai, cioè denunce profetiche che prevedono un destino d’infelicità. Questo insegnamento scuote il presente pieno di lacrime e lo apre a un futuro pieno di speranza, come pure l’oggi gaudente di chi si fa beffa degli altri e lo apre a un giudizio di condanna.
Quello di Gesù è un grido che si leva in mezzo a un popolo di pecore senza pastore che ha smarrito l’orizzonte e soffre l’amnesia della promessa fatta ad Abramo, dei prodigi compiuti nell’Esodo, dell’esperienza della divina provvidenza sperimentata a più riprese. Gesù insegna che la felicità non appartiene ai prepotenti, a quanti vogliono essere vincenti in questo mondo, costi quel che costi. La felicità sta piuttosto nell’impatto con la salvezza di un Dio che sta dalla parte di chi è messo ai margini e non conta.
Il Salvatore vuole tratteggiare la “grande bellezza” dei piccoli evangelici che sono chiamati non solo a respirare il profumo della santità del Dio ricco di misericordia verso gli umili, ma anche a partecipare pienamente di ciò che Egli è: il Santo, il Completo, l’Infinitamente Gioioso. Gesù usa parole di sapienza per rivelare da quale parte della storia sta Dio, ma anche parole profetiche per smascherare tutto ciò che impedisce all’opera salvifica di Dio di progredire. La parola del profeta è caustica e toglie la maschera agli ipocriti, a quelli che sanno “neutralizzare” gli effetti performanti della Parola di Dio.
Le quattro coppie di antitesi sono formulate con un linguaggio sapienziale (le beatitudini dei vv. 20-23) e profetico (i “guai” dei vv. 24-26) e sfociano in un orizzonte escatologico. Gesù prospetta ai suoi discepoli la condizione finale del cammino della sequela cristiana, cammino che contrasta con la mentalità di questo mondo: una felicità inedita. “Beati” (makárioi), cioè felici, benedetti, sazi, è l’aggettivo che indica la con-dizione divina: makários, infatti, è l’epiteto tipico della divinità nel mondo greco. Questo aggettivo “divino” viene posto da Gesù accanto a una categoria umana che, di certo, nessuno si aspetterebbe: ptochói vale a dire poveracci, gente di nessun peso né valore, i “rifiuti” della società. Eppure con grande disinvoltura, Gesù coniuga due realtà diametralmente opposte. Lo stesso sconcerto appare quando oltre ai poveri vengono proclamati «beati » anche quelli che hanno fame, quelli che piangono, quelli che sono perseguitati.
Il genere letterario delle beatitudini o macarismi non è nuovo nella Bibbia. Il popolo di Israele conosce tante beatitudini e altrettanti guai. Nei Salmi i poveri sono i figli di Israele che sono detti “beati” perché Dio è dalla parte degli oppressi, degli schiacciati, di quanti soccombono sotto il peso dell’ingiustizia, degli innocenti e degli ultimi della terra. Paradossalmente e provvidenzialmente quanto più assoluta è la povertà del popolo, tanto più grande è la prossimità divina!
Quasi a evidenziare il carattere prorompente delle beatitudini, Luca vi accosta il genere dei “guai” che rappresentano un sottotipo dell’oracolo di condanna che il profeta lancia quando Dio è stanco dell’ipocrisia e dell’infedeltà del suo popolo e sbugiarda Israele, mettendo a nudo la sua religiosità appariscente, formale, falsa. I destinatari dei “guai” sono quanti pensano che, godendo di un certo status religioso e sociale, si possa poi calpestare gli altri fatti a immagine e somiglianza di Dio. I ricchi cui Gesù rivolge l’oracolo sono anche i supponenti, i mondani, i gaudenti, gli intoccabili che vedono nella loro superficiale e transitoria felicità l’effetto di una presunta benedizione da parte di Dio ottenuta in forza della loro bravura. Gesù in realtà non condanna la ricchezza, ma il sistema diabolico con cui la ricchezza si produce sulla pelle dei poveri. Per questo la felicità dei gaudenti sarà effimera, quella dei poveri, e quindi dei veri discepoli del divin Maestro, che cercano la loro ricchezza in Lui, invece, sarà eterna.
Nell’anno (2024-2025) in cui si celebra il centenario della nascita di don Oreste Benzi – il programma degli eventi è iniziato nel settembre scorso a Rimini – in questo periodo di Avvento il commento al Vangelo della domenica su Notizie sarà accompagnato dalle riflessioni del fondatore della Comunità Papa Giovanni XXIII. I testi sono tratti da “Pane Quotidiano” il messalino con il Vangelo e la Parola di Dio del giorno commentati da don Oreste Benzi. Info: https://shop.apg23.org/abbonamenti/16-messalino-pane-quotidiano.html
Una relazione profonda con Dio modifica tutta la realtà e in te può emergere forte un dolore immenso per non avere amato mentre potevi amare, di aver tante e tante volte gravato sugli altri mentre invece potevi distribuire amore, essere segno di amore. Gesù ti prende, ti affascina sempre di più: cresce in te il desiderio di ripetere nella tua vita le beatitudini del Vangelo: essere giusto, costruire la pace ovunque sei, essere misericordioso, puro di cuore… ma ciò che ti spinge non è la beatitudine in se stessa; questa in fondo non ti interessa per niente, semmai la vedi come il risultato che tu non cercavi neanche, ma che è venuto come premio. Quello che a te interessa è questa relazione compenetrante che dalla mattina alla sera, e anche durante la notte, il Signore ti dona. Dite, allora, con il cuore: «Signore, sono contento che mi hai chiamato ad essere segno della tua presenza!».
Don Oreste Benzi
(Tratto da “Pane Quotidiano, Sempre Editore”)
L’opera d’arte
Beato Angelico, Discorso della montagna (1438-1440), Firenze, Convento di San Marco. Nel brano di questa domenica l’evangelista Luca riporta quattro “beatitudini” – accompagnate da altrettanti “guai a voi…” – e ambienta la scena in un “luogo pianeggiante” e non sulla montagna, come racconta invece Matteo. Al racconto di quest’ultimo si ispirano le rare raffigurazioni dell’episodio, come quella – certamente la più celebre – dipinta da Beato Angelico nell’ambito del mirabile ciclo presso il convento domenicano di San Marco a Firenze. Su di un monte roccioso, in un paesaggio senza vegetazione, Gesù è seduto più in alto e parla ai discepoli suscitando in loro espressioni e gesti di profondo raccoglimento.
È lui il centro della costruzione spaziale: il suo sguardo si rivolge in particolare al primo discepolo alla sua destra e il discorso si propaga come per una sorta di movimento circolare includendo anche l’uomo dall’aureola nera alla sinistra di Gesù, ovvero Giuda il traditore. Il Maestro stringe nella mano un rotolo chiuso, a simboleggiare che la Parola, l’insegnamento salvifico che prima veniva annunziato per bocca dei profeti, ora si è fatta carne in Gesù stesso.
V.P.