20° della morte di don Giussani: intervista all’arcivescovo Erio Castellucci
Il 22 febbraio ricorrono i vent’anni dalla morte del Servo di Dio don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione: intervista all’arcivescovo Erio Castellucci, che presiederà la Messa per l’anniversario il 10 febbraio, alle 19, nel Duomo di Modena
Gerusalemme 1986: don Luigi Giussani durante il pellegrinaggio in Terra Santa.
A sinistra il dottor Enzo Piccinini, anch’egli Servo di Dio
Foto Fraternità di Comunione e Liberazione
A cura di Domenico Maurizio Cava
Il 22 febbraio 2025 ricorrono i vent’anni dalla morte del Servo di Dio don Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, movimento ecclesiale presente in Italia e in oltre 90 paesi nel mondo. Abbiamo chiesto all’arcivescovo Erio Castellucci di rispondere ad alcune domande proprio sulla figura di don Giussani.
Don Erio, chi è per lei don Giussani, oggi e nella sua storia?
Don Giussani secondo me è un grande educatore, perché ha preso sul serio la sua umanità e la presenza di Cristo risorto nella sua vita e nella vita della Chiesa. Educa chi ama, ed ama chi è amato: il rapporto di don Giussani con Cristo – come dimostrano i suoi scritti ma soprattutto la sua vita – era vivissimo. Quando commentava l’incontro di Gesù risorto in cui Gesù verifica Simon Pietro sull’amore (“mi ami tu?”), si impersonava totalmente nell’apostolo. Non vedeva poi un salto tra Cristo e la Chiesa, perché un Cristo senza la sua comunità diventa un “fantasma”, un ologramma che non salva nessuno e nemmeno appassiona. Infatti chi guarda a Cristo a prescindere dalla Chiesa se ne fa mille immagini diverse, nessuna delle quali tocca la realtà viva: diventa un grande profeta del passato, un maestro di valori, un mago, un martire vittima del sistema e così via. Non si può amare un fantasma, un ologramma, un valore, un profeta morto e sepolto: si può amare una persona vivente. E don Giussani ha amato Gesù come se gli fosse accanto in carne e ossa.
Per come lei l’ha conosciuto, quale contributo il carisma di don Giussani può offrire al cammino della società e della Chiesa?
Il carisma di don Giussani, per come l’ho conosciuto, può aiutare tutta la Chiesa a mantenersi radicata nella carne del Signore. Papa Francesco insiste sui due grandi rischi del cristianesimo odierno: pelagianesimo e gnosticismo. Due parole difficili che corrispondono a due eresie attualissime. Il pelagianesimo è la tentazione di salvarsi con i propri meriti, conquistando la grazia dal basso: don Giussani la chiamava moralismo e volontarismo; è la morte del cristianesimo, perché solo il Signore ci salva e noi possiamo solo accogliere la grazia. Il secondo rischio, lo gnosticismo, è la tentazione di salvarsi attraverso la conoscenza delle cose divine a prescindere dalla carne: don Giussani la chiamava spiritualismo, religione disincarnata. Altra deriva mortale. Cristo è Dio in carne e ossa: e chi lo segue e crede in lui non rinuncia alla propria umanità, ma la affida totalmente a lui e se la trova potenziata.
Recentemente lei ha affermato che il testo più importante di don Giussani è “Il senso religioso”. Perché?
Ho letto da tanto tempo “Il senso religioso”, favorito dal fatto che fin dagli studi teologici al Seminario Regionale di Bologna avevo amici appartenenti a Comunione e Liberazione e io, provenendo dall’Azione Cattolica, ero curioso di capire questa impostazione. Ne fui affascinato, soprattutto per la capacità di valorizzare – come direbbe il Concilio Vaticano II – tutto ciò che di buono e di vero si trova nelle altre religioni, e di leggere alla luce della pienezza di Cristo i semi di verità e di salvezza sparsi dovunque. Don Giussani ha percorso queste linee conciliari, aprendo la mente di tanti ad apprezzare criticamente, e quindi intelligentemente, ogni ricchezza, dovunque la si trovi. Nei primi anni di ministero presbiterale, a Forlì, insegnando religione al Liceo scientifico c’erano dei colleghi con i quali ci si trovava nei pomeriggi a leggere “Il rischio educativo”: altro testo ricco di idee, esperienze e spunti utili a qualsiasi livello dell’opera educativa (dalla famiglia alla parrocchia, dalla scuola all’università….). Leggendo questo testo insieme ad altri colleghi, ci siamo sempre più convinti che l’educazione “neutra” è un mito e un impoverimento della pedagogia umana; l’educazione, rispettosamente, deve avere un’ispirazione chiara, altrimenti l’educatore si camuffa da semplice istruttore; ma è proprio un’ispirazione forte, come quella cristiana, che apre la mente all’apprezzamento di tutto ciò che di vero, bello e buono si trova dovunque.
Ancora oggi, molti giovani si avvicinano alla fede per l’incontro con il carisma di don Giussani. Perché secondo lei?
Credo che continui ad affascinare la concretezza della proposta, la sua capacità di valorizzare l’esperienza e trovarne il senso, il fatto che non è un cammino solitario – sempre a rischio di derive moraliste e spiritualiste – e il fatto che è un cammino dentro la Chiesa, una famiglia difettosa (come tutte le famiglie) ma amorevole e appassionata. Ecco, forse è proprio la passione il segreto di don Giussani: un cristianesimo cerebrale non attira nessuno; un cristianesimo appassionato è ancora in grado di affascinare. “Vieni e vedi”: come per i primi apostoli, è ancora questa l’esperienza che conquista. Diceva Benedetto XVI che la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Tradurrei così: la Chiesa non cresce nel tentativo di convincere attraverso le idee (pur necessario), ma nell’invito ad una esperienza di sequela del Signore, che dà colore alla vita.
Per ricordare l’anniversario del dies natalis di mons. Luigi Giussani lunedì 10 febbraio, alle ore 19, in Duomo a Modena, l’arcivescovo Erio Castellucci presiederà la Santa Messa.