Il Giubileo e i testimoni: Enzo Piccinini
La speranza è nell’incontro
Sabato 22 febbraio, alle ore 18, nel Duomo di Modena il vescovo Erio Castellucci presiederà la celebrazione eucaristica per la chiusura della fase diocesana della Causa del Servo di Dio Enzo Piccinini. Il cammino giubilare delle chiese di Modena e di Carpi si arricchisce di un “testimone di speranza” che si è speso senza misura per portare tutti all’incontro con Cristo.
di Pier Paolo Bellini, autore con Chiara Piccinini del libro “Amico carissimo. Enzo Piccinini nelle sue parole e nei racconti di chi lo ha conosciuto”, BUR 2024
“Pellegrini di speranza”: il “motto” voluto da papa Francesco vuole individuare non solo quelli che parteciperanno al Giubileo, ma anche tutti quelli che ogni giorno mettono un piede dietro l’altro, spinti da una energia misteriosa, irrefrenabile e nello stesso tempo ingenua come una bambina. Il dott. Enzo Piccinini, chirurgo modenese, è stato pellegrino di un breve e intenso cammino su questa terra (1951-1999): una terra che egli ha percorso in lungo e in largo portando la speranza. Per questo motivo la Chiesa ha deciso di aprire la sua causa di canonizzazione (di cui, il 22 febbraio prossimo, verrà chiusa la fase diocesana): Enzo fu fonte di speranza. Lui stesso racconta (“Amico carissimo”, Rizzoli 2024) la spinta che muove ogni uomo, la fatica di conservarla, il rischio di perderla: «Quando ero ragazzo mi entusiasmavano moltissimo le avventure, soprattutto quelle di mare. Mi mettevo a leggere e immaginavo questo veliero che attraversa il mare, i tre alberi, la gente sopra, la potenza che sfida la natura. A un certo punto mi prendeva l’angoscia: “Si fermò arenandosi in una secca”. Un banco di sabbia. Quel grande coso che sfidava le forze della natura improvvisamente per un mucchietto di sabbia non faceva più niente! La nostra potenzialità umana è la stessa cosa del veliero che sfida i mari: perché il mare è la vita quando si arena nella piccola secca, nel mucchio di sabbia del condizionale, “Vorrei, ma non posso”, senza speranza, “Se fossi, potrei”…».
La speranza è una spinta strutturale che si incaglia sulle secche dei fallimenti, degli insuccessi, delle inevitabili mancate corrispondenze. Ciò che la sostiene, che la preserva dal declino è l’accadere di un fatto inspiegabile, non legato a nostri progetti o meriti: un “avvenimento”, come amava definirlo don Luigi Giussani, amico rivoluzionario del rivoluzionario Piccinini. Ciò che sostiene la speranza è un “incontro”. “La speranza non va da sola. Per sperare, bambina mia, bisogna esser molto felici, bisogna aver ottenuto, ricevuto una grande grazia…”, diceva il poeta Charles Peguy, tanto caro a Giussani e a Piccinini. La grazia dell’incontro, diceva Enzo, rinnova la vita: «Uno gli vien voglia di tutto, è come se scoprisse dentro di sé un principio, una fonte zampillante per cui è come se fosse portato a incontrare tutto. Si dilata l’interesse, si libera il coraggio dei rapporti, si dilata l’orizzonte affettivo, è come un riferimento nuovo, radicalmente, ultimamente nuovo nel nostro pensiero, nella nostra affettività. Immaginate che ci sia un popolo strano, in un certo posto della terra, che abbia sempre vissuto all’ombra della notte, perché il sole non è mai riuscito a illuminare, che abbia sempre vissuto così come certi gamberetti, mi pare, che sono dentro alle caverne, che vivono sempre nell’oscurità. Pensate che ci sia della gente così, che ha vissuto sempre così. E come possedeva le cose? Come possedeva se stessa, le cose, la scrivania, le cose solite, gli amici, le strutture, la casa? A tentoni, perché non aveva i raggi infrarossi negli occhi. Erano tutti così. Immaginate che improvvisamente si squarcino le oscurità e appaia la luce. Le cose solite acquistano un altro spessore. Sono come investite, trasformate: un’altra finalità, altri rapporti, un altro tipo di posizione. Ecco, è paragonabile così quel che succede in un incontro come questo».
Questo incontro non è una filosofia, una teoria o una prassi: coincide con l’amicizia cristiana. “C’è nell’aria una promessa di amicizia, una vibrazione che è promessa di amicizia, un rapporto nuovo. Insomma, qual è il contenuto di questo incontro? Una speranza nuova, una promessa di amicizia diversa, nuova, per cui io che camminavo senza neanche capire di camminare, senza neanche accorgermi cosa volesse dire camminare, cioè camminavo un po’ a vanvera, mi sono messo in movimento, ho incominciato anch’io e sono qui. Questo è il modo meno intellettuale possibile perché la nostra umanità sia realmente messa in moto». Pellegrini di speranza.
Piccinini era chirurgo. Gli capitava spesso di fare i conti con il limite estremo, con la contraddizione più acuta, con la disperazione che la morte segnala come fine di ogni umano tentativo, come “anti-speranza”: «A un certo punto, è arrivata la fine. Ho mandato fuori tutti, mi son messo a fianco, e gli dico: “Senta, le cose sono a un punto tale che può succedere di tutto. Bisogna che lei si prepari”. Allora lui mi ha guardato: “Adesso capisco. Noi siamo… – c’era sul soffitto una condensa, delle gocce che venivan giù – noi siamo come quelle gocce lì: finché c’è quel filino d’acqua, ci siamo. Quando qualcuno decide di chiudere, non ci siamo più”. Gli ho detto: “Solo una cosa ce lo fa accettare: che chi tiene quel filo ci vuole bene. Tornare da lui è tornare a casa!”». La speranza è tutta compresa in questo, nella certezza che “chi tiene quel filo ci vuole bene”. Questa certezza ha rivoluzionato la vita del dott. Piccinini: «“Il Signore porterà a compimento l’opera buona che ha cominciato fra voi”. Ecco, la speranza, l’unica speranza per cui vale la pena stare insieme è realmente questa certezza».
Solo questa certezza, d’altra parte, può farci sentire le parole di papa Francesco qualcosa di più di un generico e fragile auspicio: “Non dimenticate: la speranza non delude mai”.