Desiderare un figlio non deve spegnere la ragione
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Diceva il filosofo Schopenhauer che la malvagità si sconta nell’altro mondo, ma la stupidità in questo. Chissà se Rosa Vespa, nei suoi studi universitari, ha mai avuto modo di imbattersi in questa scheggia di sapienza. Di sicuro ne sta sperimentando la verità dentro le mura del carcere dove è rinchiusa dopo aver rapito la piccola Sofia dall’ospedale Sacro Cuore di Cosenza. L’Italia, davanti a questo psicodramma, si è equamente divisa sull’assegnazione delle medaglie da attribuire ai diversi protagonisti. I più pensavano di assegnare l’oro a Moses, il compagno di colore della signora, il quale ha detto al suo difensore che “non si era mai accorto di nulla, perché lei gli mostrava il pancione”. Il tribunale gli ha creduto, decidendone la scarcerazione e, a questo punto sospendiamo i giudizi, dubbiosi se assegnare una medaglia, magari di cartone, anche agli inquirenti.
L’Oscar alla migliore attrice protagonista, spetta comunque a Rosa. Le perizie previste ci diranno la gravità dei suoi disturbi di personalità. Certamente una ossessione narcisistica, dove l’essere madre l’avrebbe fatta sentire accolta e stimata dagli altri. Quindi più che il desiderio di una creatura, era il ritorno di immagine che quella creatura le avrebbe portato il vero obiettivo del suo piano sgangherato. Un problema che sembra rimandarci alla notte dei tempi o presso certe culture non ancora riconciliate con la modernità, quando la sterilità veniva giudicata un segno di disonore, se non anche una maledizione che poteva portare al ripudio della donna.
Certo che Rosa ci ha messo del suo per vestire il suo sogno con i panni di una sfilata carnevalesca. Quelli di una catena di bugie, fino a farne un rosario di fandonie. False ecografie, visite mediche inesistenti, con la messa in scena finale del figlio maschio partorito e lasciato in ospedale per questioni di Covid. Gli aveva dato anche un nome, Ansel all’italiana, forse per indicare che era “dono di Dio” stando al significato del nome germanico o forse per riscattare il destino di Hansel, quello della favola, abbandonato nel bosco con Gretel dalla matrigna. Neppure sfiorata dal dubbio che il marito senegalese avrebbe potuto chiederle del perché della scarsa abbronzatura del loro erede e tantomeno toccata dal dubbio che qualcuno avrebbe potuto chiederle in nome di quale arcano scientifico il suo piccolo “girino”, annunciato come maschio, una volta arrivato a casa si sarebbe trasformato in ranocchietta senza più la coda.
Moses, medaglia d’argento nella nostra classifica, si sarà prestato al gioco in nome dell’amore, quello che rende ciechi, o non sarà piuttosto lo scaltrito topo che abbandona la nave quando inizia a imbarcare acqua? Noi preti notoriamente non siamo esperti di queste cose ma, proprio perché inesperti, ci lasciamo sedurre dalla logica. Quella che ci porta a domandarci come si possa stare accanto a una donna che dice di avere una creatura che cresce in grembo, ma solo per finzione, senza rendersi conto dell’inganno. L’intimità può fare a meno della luce, ma non dell’intelligenza. Se la compassione ci spinge a riportare il tutto nel silenzio, rimane comunque l’obbligo di denunciare che un figlio non è mai un diritto, comunque lo si cerchi.