Il valore delle religiose oltre i luoghi comuni e i giudizi sommari
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Il 6 gennaio scorso, Papa Francesco ha nominato Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica la religiosa suor Simona Brambilla di 59 anni, affiancandole come pro-prefetto il cardinale Fernandez Artime. Qualcuno, con qualche malizia, ha trovato modo di dire che il Papa ha dato un contentino alle femministe, ma poi, non fidandosi del tutto di una donna, le avrebbe messo nei fianchi un cardinale con la funzione di controllore. Di segno opposto la critica che viene dai conservatori i quali, Codice di diritto canonico alla mano, ricordano che il canone 129, al primo paragrafo, recita testualmente: “Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina, coloro che sono insigniti dell’ordine sacro, a norma delle disposizioni del diritto”. Canone ovviamente superato da quanto riporta una delibera finale del recente Sinodo, la quale sostiene che “non ci sono ragioni che impediscano alle donne di assumere ruoli di guida nella Chiesa. Non si potrà fermare quello che viene dall’Alto”. In parole povere: lo Spirito Santo batte la legge, uno a zero.
In realtà è da tempo che Papa Francesco ha aperto alle donne, presenti nelle varie Congregazioni ai massimi livelli e, quest’ultima nomina appare come una scelta profetica che va a consolidare una strada di non ritorno. Appare fuori luogo soltanto certo femminismo logoro, felice per il fatto che finalmente sia una donna a comandare sui maschi. Un pessimo servizio a suor Brambilla, che andrebbe apprezzata per le sue qualità più che per il genere sessuale di appartenenza.
Comunque la si veda, la scelta del Papa obbliga ad una riflessione seria da parte di tutta la comunità cristiana sulla presenza delle religiose e sul loro ruolo nella comunità cristiana. Se oggi le vocazioni maschili conoscono vertici di crisi mai visti in passato, quelle femminili vivono una stagione ancora peggiore. E la colpa non va cercata soltanto in una diffusa crisi della fede. Nei confronti delle suore ha avuto buon gioco anche un immaginario collettivo che le ha banalizzate e dileggiate oltre ogni ragionevole limite. Quante volte abbia-mo sentito persone che non frequentano più la Chiesa attribuire la colpa della loro indifferenza al fatto di aver studiato dalle suore? Un alibi costruito sull’ingiusta demonizzazione di donne che si sono spese per il vangelo nel nascondimento, spesso usate strumentalmente per fare le custodi dei preti, le badanti, le serve, le sacrestane… in un’ottica clericale, dove al centro c’era il prete e il suo ruolo di potere nella Chiesa.
Del resto basterebbe registrare il consenso di alcune frasi del Papa, dette in libera uscita, entrate nell’immaginario della gente come verità trinitarie. Chi non ricorda il “siate madri, non siate zitelle”? E, più vicino a noi “non abbiate la faccia da aceto”? Ma fermarsi a questo, oltre ad una ingiustizia, sarebbe un insulto al Vangelo e negazione della verità storica del loro ruolo nella storia cristiana. Giganti come Teresa D’Avila, Santa Teresina di Gesù o Madre Teresa di Calcutta, per non parlare di Chiara e Scolastica, dovrebbero dirci molto di più di quanto raccontino i luoghi comuni.