Le associazioni dovranno aprire la partita Iva?
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Spett.le Redazione di Notizie seguo come volontario l’amministrazione di una piccola associazione culturale che organizza corsi e conferenze sulla storia locale e ho sentito che da gennaio 2025 tutte le associazioni dovranno aprire la partita Iva e sono disperato e credo che questa notizia ci porterà a chiudere la nostra piccola associazione ormai schiacciata dai troppi adempimenti. La notizia è vera? Lettera firmata
Tornando alla domanda iniziale, solo chi fa attività a fronte di corrispettivi specifici a favore dei soci, chi fa la cessione di proprie pubblicazioni prevalentemente agli associati a fronte di corrispettivi specifici e chi ha un bar interno è coinvolto dalla modifica in oggetto.
Se la mia associazione svolge un’attività istituzionale del tutto gratuita a favore dei terzi o dei soci o svolge prestazioni a favore di associati che non pagano corrispettivi specifici, ma solo la quota associativa non sono obbligato ad aprire la partita Iva. Così come restano fuori campo Iva le attività di raccolta fondi di tipo occasionale. In ogni modo il numero di soggetti coinvolti nel cambiamento è ampio e per esempio riguarda tutte quelle associazioni di promozione sociale che fanno attività a pagamento per i propri associati come corsi, laboratori, campi gioco, rassegne cinematografiche etc. Tutte queste attività saranno in esenzione Iva, ma l’ente dovrà avere una partita Iva e sottostare agli adempimenti diversi a seconda del regime scelto.
Un cambiamento ancora più grande riguarda i bar interni delle associazioni di promozione sociale e circoli in quanto l’attività di somministrazione di alimenti e bevande diventa esente solo se rivolta gli indigenti e quindi anche l’attività di somministrazione di alimenti e bevande a favore degli associati anche se complementare all’attività culturale e di socializzazione dell’ente diventerà imponibile ai fini Iva. Cosa comporta questo cambiamento per le associazioni?
Per quelle che svolgono solo attività esenti è possibile adottare il regime di esonero dagli adempimenti definito dall’art. 36 bis del decreto Iva. Questo regime permette l’esonero dai seguenti adempimenti: emissione di fatture, a meno che non sia il fruitore a richiederne l’emissione e a meno che non si tratti di prestazioni di ricovero e cura rese da società di mutuo soccorso con personalità giuridica o da enti del Terzo settore di natura non commerciale; tenuta dei registri Iva; dichiarazione Iva annuale; comunica-zione delle liquidazioni Iva periodiche.
Resta invece l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi ancorché a zero. Svolgere esclusivamente prestazioni esenti da Iva significa non poter detrarre l’Iva assolta sugli acquisti di beni e servizi. Il contemporaneo esercizio di un’attività imponibile genera invece l’obbligo della tenuta di contabilità Iva separate.
Quindi, pur essendo la risposta non così drammatica come prefigurata dalla domanda, i cambiamenti saranno notevoli e comporteranno un aggravio di adempimenti per molti enti. Anche per questo il Forum nazionale del terzo settore ha lanciato la campagna “È valore sociale, non vendita. No alla partita Iva per le attività associative del terzo settore” per chiedere al Governo di adoperarsi per una soluzione normativa che tenga conto della specificità delle attività associative non commerciali, così da proteggere il contributo insostituibile che il terzo settore porta alle comunità. Di conseguenza, in questo quadro non ancora chiarissimo è possibile intervengano ulteriori cambiamenti.
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