L’uomo occidentale ormai ridotto ad odiare se stesso
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Il Wokismo, che viene dall’inglese woke, ossia essere sveglio, sta diventando la nuova religione. Subdola, strisciante, pericolosissima. Nato in America come strumento di lotta contro le ingiustizie e le discriminazioni razziali, pian piano ha finito per abbracciare altre cause trasformandosi in atteggiamento di allarme e di contestazione verso tutto quello che rappresenta il sistema sociale occidentale, considerato patriarcale, bianco e maschilista. Lungo la strada ha fatto proprie le teorie di gender e quelle contro il razzialismo, ossia l’idea che sia l’uomo il perno intorno cui gira la storia, arrivando a contestare perfino la scienza, il sapere razionale e la stessa storia. Qualcuno sostiene che stiamo andando verso un nuovo ’68. Ma non è così. Qui la rivoluzione non è sociale. Non si scende in piazza a fare le rivoluzioni. Qui in discussione è l’antropologia, ossia il valore dell’uomo, il suo ruolo nell’universo. Un acuto filosofo ha definito tutto questo una nuova forma di odio dell’Occidente nei confronti dell’essere umano. L’impressione è che nel percepito della gente ancora non ci si renda conto dell’importanza del fenomeno, anche se i segnali parlano con grande eloquenza. Si va da uno stile di vita che tende a far saltare tutte le regole sociali consolidate nel tempo, sdoganando solo il piacere, immediato, irrazionale, slegato da qualsiasi legame con la realtà intorno. Nessuna regola deve arrivare dal passato, dalla tradizione, dalle religioni, dalla storia, dalla cultura. Nessun principio di solidarietà, di responsabilità, di collaborazione sociale, di atteggiamento virtuoso. Diceva un ragazzo, assolutamente estraneo a questi ragionamenti: stiamo an-dando verso la distruzione dell’uomo. Non so se sarà così (personalmente mi fido di Dio che non abbandona mai le sue creature) ma potremmo andare incontro a tempi di pazzia collettiva, dentro scenari di individualismo intriso di violenza e di rancore. Non a caso gli antichi greci, nella loro saggezza, sostenevano che il vero scontro nella storia era tra amore e morte, non tra la vita e la morte. Come a dire che se non è l’amore, la solidarietà, il servizio ad imporsi dentro il vivere umano, piano piano sarà il senso di morte a impadronirsi delle storie dentro cui viviamo. Un secondo filone ci porta dritto dentro le aule dove illustri docenti di materie scientifiche sostengono che il valore dell’uomo altro non è che una proiezione del nostro cervello, dentro l’universo dove non esistono in realtà graduatorie di merito. Animali tra animali, cose tra cose, ma con l’aggravante che noi siamo diventati i veri predatori. Da qui un facile animalismo, i cui eccessi sono sotto i nostri occhi giorno dopo giorno, mentre tra noi cresce una violenza ormai sempre più feroce e disumana, al pari dell’indifferenza per cui la brutalità è diventata spettacolo e merce a buon mercato per una informazione che sta facendo della morbosità il pozzo cui attingere. Va da sé che, da queste premesse, la prima a farne le spese è proprio la Chiesa e la comunità cristiana, portatrici di una visione che va in tutt’altra direzione. I 246 attacchi violenti ai cristiani d’Europa nello scorso anno, parlano più di tutte le nostre considerazioni.