Economia e lavoro, urgente agire
Scricchiolii, segnali da cogliere
Quanto mai opportuna l’iniziativa della Fondazione Cassa di Risparmio di Carpi, di cui riferiamo a pagina 3, che ha proposto un’approfondita riflessione sulla situazione economica globale e i suoi riflessi sul territorio, sollecitando, grazie ai contributi di studiosi e imprenditori, urgenti provvedimenti per affrontare il futuro. Quale contesto si va delineando? Ne parla l’editorialista economico di Agensir Nicola Salvagnin.
di Nicola Salvagnin
Sono ancora solo scricchiolii, ma sono molto preoccupanti: s’infittiscono i casi di chiusure e licenziamenti collettivi un po’ ovunque in Italia, ma in particolare in quel Nord che da sempre ne è la locomotiva economica. Sono diverse centinaia i casi sottoposti all’attenzione del competente ministero, per quanto questo possa farci qualcosa; arrivano notizie continue di tagli drastici, l’ultima riguarda
la chiusura di tutti gli stabilimenti ex Whirpool in Italia, di proprietà turca. Ma è la prospettiva a spaventare di più. Nel Nordest le capacità produttive delle aziende sono utilizzate in media per due terzi: mancano ordini. La nostra industria manifatturiera è perlopiù orientata all’esportazione. Ma il settore principe – la metalmeccanica – soffre terribilmente le difficoltà economiche tedesche: siamo i principali fornitori delle loro industrie, che continuano a rallentare e, a loro volta, licenziare e chiudere.
Un altro caposaldo tricolore, il tessile e la moda, da molti mesi vede contrarsi ordini e fatturati a causa appunto della difficoltà ad esportare: i committenti francesi del lusso annaspano, la Cina compra sempre meno. Distretti industriali come quello toscano sono già in affanno. L’agroalimentare è terrorizzato dai ventilati dazi trumpiani, cosicché gli importatori americani stanno acquistando ora a man bassa per fare scorte. Ma domani? Appunto si profilano tempi cupi e non si vedono all’orizzonte possibili panorami positivi. Soprattutto, l’economia mondiale sta andando nella direzione laddove l’innovazione tecnologica è vincente; noi invece siamo ancorati alla “vecchia” economia oberata dal caromaterie prime e da una burocrazia ottusa; a una struttura industriale articolata in una miriade di piccole imprese che prosperano se va bene, chiudono semplicemente se va male. Piccolo sarà agile, ma non bello. Si dirà: facciamo qualcosa. E qui sta l’altra grande ombra che incombe su di noi (e non solo: la Francia sta sulla stessa croce): cosa possiamo fare per i dazi americani o le politiche economiche cinesi? Come possiamo agire dentro un’Europa che appare ingessata e divisa? Che poteri abbiamo sulla moneta o sui tassi d’interesse? Con che denari possiamo alimentare quella transizione innovativa che ci faccia uscire dai pomodorini di Pachino e ci porti nelle nanotecnologie? Come possiamo trattenere tutte quelle risorse intellettuali che fuggono all’estero sotto i nostri occhi indifferenti? Ed è sulla risposta a questi quesiti che ci giochiamo i prossimi vent’anni.