Speciale Avvento, catechesi del vescovo Erio sulla preghiera di lode – Parte 2
Anno della preghiera in preparazione al Giubileo 2025 Cammino spirituale d’Avvento accompagnati dalla meditazione del vescovo Erio sul tema “Ti rendo lode, Padre”
+ Erio Castellucci
San Paolo fa eco all’esclamazione di lode di Gesù, quando scrive ai Corinti: “Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili. Ma quello che è stolto per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i sapienti; quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono, perché nessuno possa vantarsi di fronte a Dio” (1 Cor 1,26-29). Per Paolo, che era anche un “sapiente” dal punto di vista umano – colto, capace di padroneggiare almeno tre lingue, formato alla severa scuola del rabbino Gamaliele – l’unica vera sapienza è quella della croce: “mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1,22-25).
Facciamo un salto di 1600 anni. Alla fine di agosto del 1662, in una casa di Parigi nella quale pochi giorni prima era morto uno dei geni dell’umanità, Blaise Pascal – acuto filosofo, grande scienziato e appassionato credente – un domestico che lo aveva assistito trovò un pezzetto di carta cucito dentro ad un corpetto che Pascal aveva indossato fino al momento della sua morte. Era una pergamena datata 23 novembre 1654, nota poi come “memoriale”, che conteneva poche righe, diventate ormai famosissime. Pascal incide in questa pergamena quella che è stata probabilmente la notte della sua conversione o di un’esperienza mistica durata un paio d’ore. Le prime frasi sono come lampi biblici: «Fuoco. Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, non dei filosofi e dei sapienti. Certezza, Certezza. Sentimento. Gioia. Pace. Dio di Gesù Cristo». Lui, che aveva studiato a fondo le leggi della fisica, proposto nuovi teoremi e inventato un calcolatore meccanico, al punto da essere oggi considerato uno dei precursori dell’informatica; che aveva approfondito i filosofi antichi, i classici della letteratura e lo studio delle Scritture, fino a mettersi in dialogo con i maggiori pensatori del tempo… ad un certo punto sperimenta che Dio non si trova nei meccanismi della natura o nella logica dei pensieri umani, ma in Gesù Cristo: è il “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe”: così si manifesta a Mosè, non come l’Architetto dell’universo, l’Anima del mondo, il Motore immobile o il Principio ordinatore. Quello che ha fulminato Pascal (“Fuoco”) è il Dio di Mosè e di Gesù, quello che rinuncia ai titoli altisonanti e portentosi e si lega alle sorti umane (Abramo, Isacco, Giacobbe) scegliendo di definirsi quindi con esseri piccoli e fragili. Pascal, pur così sapiente e dotto, si è fatto “piccolo”. E ha iniziato a lodare il Dio vero; non il prodigio del proprio grande ingegno, capace di scoprire le opere di Dio, ma il prodigio di un Dio che si fa piccolo in Gesù per riuscire a prendere la misura del cuore umano.
(2 – continua)