Convegno inaugurale Laboratorio Realino, intervista a Emma Mantovani
Emma Mantovani è una dei giovani intervistati in occasione del convegno inaugurale promosso dal Laboratorio Teologico Realino e svoltosi lo scorso 16 novembre a Carpi
di Pietro Paulo Spigato
Emma Mantovani
Lo scorso 16 novembre, presso l’auditorium Loria a Carpi, si è tenuto il convegno inaugurale del Laboratorio Teologico Realino dal titolo “Raccontiamo la speranza. C’è una futura nuova cultura nel vissuto dei giovani d’oggi?”. L’evento, aperto alla cittadinanza, si è collocato nell’ambito della riflessione sui giovani e il loro futuro portata avanti, da quasi due anni a questa parte, dalla Diocesi di Carpi, coinvolgendone alcuni in prima persona. Fra i giovani intervenuti sabato 16 novembre – è stato proiettato il video con le loro interviste realizzato per l’occasione – c’era anche Emma Mantovani, di Concordia sulla Secchia, diciannovenne studentessa universitaria, che ha da poco concluso gli studi superiori linguistici al Liceo “Giovanni Pico” di Mirandola.
Emma, 1uale delle tematiche trattate ti ha suscitato più riflessioni?
All’inizio del mio intervento mi ero concentrata sul fatto che spesso gli adulti ci vedono in modo sbagliato senza conoscerci e sapere le nostre reali aspirazioni, definendoci in modo omogeneo anche se siamo un gruppo eterogeneo. Il punto che più mi ha colpito è quello sull’incertezza del futuro. Nel video che ho realizzato dicevo proprio che ero molto tesa nonostante mi si propongano molti scenari. Cerco di essere speranzosa e fare quello che mi piace ma con un occhio alla realtà. Tendo a vivere l’oggi dandomi delle possibilità che possano anche uscire dallo schema studio-lavoro-famiglia, che sono categorie valide, ma personalmente ho un approccio diverso alla vita. Provo a fare cose belle anche meno concentrate prettamente al concreto, trasmettendo un po’ di speranza nonostante sia difficile vivere e vedersi in un futuro florido e felice. Cerco di essere positiva, credo nell’arricchimento culturale come su qualcosa che ci permette di vedere il mondo con occhi diversi.
Cosa ti dà personalmente speranza nel futuro?
Certe persone ed atteggiamenti che rispettano i valori in cui credo. Atti di gentilezza, persone che si fermano ad ascoltare e riconoscono la difficoltà parlandone insieme. È una dinamica che si verifica anche nelle mie compagnie di amici. Trovo speranza anche quando vedo che a tutti i livelli si ha una certa forma di cura verso la bellezza e l’unicità dell’individuo. Anche io cerco di dare speranza nel mio piccolo, cercando di vederla nelle cose piccole che faccio, vedendone i riflessi positivi. La ritrovo specialmente nelle relazioni che coltivo, nella mia famiglia e nelle arti espressive.
I giovani oggi hanno speranza nel futuro?
Da quello che vedo, con esperienza da persona che si può ritenere privilegiata, credo abbiano speranza. C’è desiderio di mettersi in gioco, plasmare e scegliere diversi cammini ed esperienze di vita. Non è una cosa che vale per tutti: c’è chi ha meno fiducia nel futuro, spesso per motivi personali o perché è stato lasciato indietro. Sicuramente miei coetanei più soli di me, meno fortunati, accolti o ascoltati hanno meno speranza. Per questo sarebbe necessario fare più gruppo per aiutarsi. Credo che ci sia fiducia nel futuro, ma sia inevitabilmente condizionata dal contesto in cui ognuno vive.
Quali sono gli strumenti concreti per la costruzione di un futuro per i giovani?
Credo molto nella necessità di dover far interagire i giovani in contesti dove abbiano responsabilità. Luoghi e situazioni dove gli adulti non parlano a nome loro senza conoscerli davvero. Sarebbe bello avvicinare di più i giovani, fin dalla scuola, al mondo della comunità, rendendoli consci di cosa siano politica, ascolto ed accoglienza. Ci vorrebbero posti aggregativi, oltre che al mondo dell’associazionismo, dove poter costruire nuclei di amicizia e punti di incontro dove riunirsi, nella creazione di ambienti aperti dove i giovani possano coltivare le proprie passioni. Questi spazi non per forza devono avere fini specifici, se non quello di stare insieme. Inoltre, ritengo che bisogni credere di più nelle potenzialità dei giovani, fin da quando sono piccoli, ascoltandoli senza un orecchio giudicante, consci che sono più inclini all’ascolto ed al dialogo rispetto a quello che si possa pensare. Per dare spazio bisogna prima aprirsi ed accogliere.
Che impressione ti ha fatto l’incontro?
L’evento è stato interessante, la sua struttura mi ha dato modo di interfacciarmi con persone anche più grandi di me, come il pubblico che era adulto e non vicino alla mia età, permettendomi di capire le loro riflessioni sui temi proposti. Tutti erano molto predisposti all’ascolto e al dialogo. Ho apprezzato il lavoro degli organizzatori e dei mediatori, oltre che i contenuti e le considerazioni finali, grazie ai quali abbiamo aperto tantissimi punti di discussione. Il mio invito è di continuare su questa linea, estendendo la portata degli incontri anche in altre città.