Migrazioni, una realtà che ci riguarda
Al via la 9^ edizione del Festival delle Migrazioni
di Edoardo Patriarca, portavoce del Festival della Migrazione
Siamo giunti alla nona edizione del Festival della migrazione, un’iniziativa culturale che negli anni si è sempre più rafforzata nei contenuti e nella presenza sui territori della provincia di Modena, in Emilia Romagna e da due edizioni anche in Veneto. Possiamo dire che il Festival della migrazione è ormai un Festival diffuso anche se il cuore dell’evento rimane Modena, la città nel quale è nato. È un progetto culturale che propone elementi di riflessione, contenuti e interrogativi sul vasto tema delle migrazioni e delle mobilità, tratti costitutivi della nostra umanità e non eventi eccezionali e neppure emergenziali come troppo spesso viene proposto e raccontato. Nelle migrazioni i popoli hanno acquisito consapevolezza e dato vita a culture e tradizioni attorno alle quali hanno definito la propria identità intesa non come una fortezza da proteggere, ma piuttosto un deposito irrinunciabile per ridefinirsi nell’incontro con le diversità, nel segno della reciprocità. Parlare di migrazioni significa parlare anche della storia del nostro popolo per secoli migrante, migrante ancora oggi, con una presenza all’estero di oltre 6 milioni di italiani superiore, peraltro, alla presenza nel nostro territorio di persone straniere. Questo per dire che il fenomeno migratorio è un dato strutturale che va governato con politiche ordinarie e lungimiranti capaci di guardare al futuro del nostro paese, quello di una comunità consapevole delle proprie tradizioni, “resistente” sui valori inscritti nella costituzione e altrettanto aperta alla dimensione multireligiosa e interculturale.
Il Festival è uno spazio nel quale vengono dismessi i tanti e troppi stereotipi che danno un’idea falsata della situazione reale del nostro paese riguardo la mobilità: non siamo invasi, al contrario stiamo diventando un paese “disabitato” che sta perdendo cittadini, e che manca di lavoratori nei settori dei servizi e del manifatturiero. È un Festival non di parte, ma politico a tutto tondo che da anni ripropone ai governi che si sono succeduti le modifiche della normativa che regola l’ingresso per lavoro, la riforma della legge sulla cittadinanza, un sistema di accoglienza efficiente ed esigente verso coloro che desiderano vivere nel nostro paese e, non ultima, un’Unione Europea che finalmente riveda i trattati vigenti. Senza polemiche a noi pare una scappatoia inutile proporre l’esternalizzazione delle frontiere, o costruire un hub in Albania. Non rinunceremo a parlare di sicurezza, del diritto di poter vivere senza timori o minacce. Ma la parola sicurezza va declinata con un approccio multidimensionale, non basta aumentare le pene e introdurre nuovi reati. Si fa sicurezza facendo prevenzione, rendendo vivibili i nostri quartieri e, va da sé, contrastando ogni forma di illegalità e violenza. “Europa-Africa andata e ritorno”, nel mezzo il Mediterraneo, un crocevia di scambi culturali e commerciali nel quale si incontrano tre continenti. Di fronte a noi soprattutto l’Africa, un rapporto da rinnovare già evocato da Robert Schuman nel discorso dell’orologio del 9 maggio del 1950, il testo fondativo di quella che sarebbe stata la prima comunità europea: “Se potrà contare su un rafforzamento dei mezzi, l’Europa sarà in grado di proseguire nella realizzazione di uno dei suoi compiti essenziali: lo sviluppo del continente africano”.
Discuteremo insieme sul ‘piano Mattei’ proposto dal governo Meloni, ripercorrendo la storia del piano elaborato da Mattei, lo faremo a cuore aperto e con spirito critico senza sottacere le preoccupazioni che emergono dalla lettura del Piano. La proposta governativa ci pare non colga appieno il principio di reciprocità e corra il rischio di percorrere vie già praticate nei decenni scorsi: solo una “andata” di vantaggio per le nostre imprese e poca attenzione ai reali bisogni di un continente che cresce in popolazione e nel pil. Per parte nostra racconteremo anche quel ‘piano Mattei’ gestito in silenzio da associazioni, ong, movimenti missionari: iniziative che partono da un ascolto vero e autentico dell’esigenze delle comunità con le quali si decide di costruire un percorso davvero di andata e ritorno.
Ultimo, il sottotitolo che è più di un sottotitolo: “i cammini e le storie che rigenerano l’Italia”. È l’altro punto qualificante di questa edizione: raccontare e mostrare l’Italia che è già cambiata per la presenza di comunità e di persone che provengono da altri paesi, una presenza di speranza in un’Italia invecchiata, spesso accartocciata su se stessa e povera di futuro. Un’impresa culturale ardua: le buone pratiche, le contaminazioni positive già in atto non fanno notizia, ma già accadono dentro le aziende, nelle scuole, nelle università, nella produzione culturale e artistica. Questi e tanti altri motivi per partecipare nei prossimi giorni agli eventi proposti dal programma del Festival.