“Signore, salvami”. Iniziato il quarto ciclo di incontri “Credi tu questo?”
Gli incontri, guidati dal vescovo Erio e dedicati alla preghiera, proseguiranno col secondo appuntamento in programma per lunedì 11 novembre
+ Erio Castellucci
Traccia della Lectio
La barca dei discepoli “era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario”. I naviganti recitano ogni giorno una preghiera, che ad un certo punto richiama il Vangelo: «Fa’ che ogni nave conservi la sua rotta, ed ogni navigante la sua fede. Comanda ai venti e alle onde di non cimentare la nostra nave, comanda al Maligno di non tentare i nostri cuori» La barca agitata, che ondeggia a causa del mare mosso, è un’immagine che esprime diverse esperienze. Può indicare la nostra vita, spesso turbata dai venti contrari della tristezza, della sofferenza, della paura; agitata dall’ostilità delle persone, dalle ferite nelle relazioni, dai dubbi di fede, dalla scarsa salute, dalla perdita del lavoro e dall’incertezza del futuro. A volte ci sentiamo davvero sballottati dalle onde e quasi incapaci di trovare una direzione e un senso a ciò che accade.
Ma l’immagine della barca agitata può simboleggiare anche la situazione del mondo, scosso dalle guerre e dalle violenze, dalla povertà e dalle malattie; qualche volta il male ci sovrasta e assomiglia ad un’onda che sembra travolgere questa povera barca del mondo. La barca, poi, è stata sempre considerata l’immagine della Chiesa, che attraversa il mare della storia seguendo rotte non sempre tranquille, agitata dai problemi, dagli errori e dai peccati, che vive anche nel proprio cuore e che ne minacciano la navigazione, aprendo pericolose falle nella sua struttura e nella sua azione.
Nella sua ultima udienza generale, il giorno prima di lasciare San Pietro, papa Benedetto XVI usò proprio l’immagine della Chiesa come barca agitata per riassumere il senso degli otto anni del suo servizio come vicario di Pietro: «mi sono sentito come san Pietro con gli Apostoli nella barca sul lago di Galilea: il Signore ci ha donato tanti giorni di sole e di brezza leggera, giorni in cui la pesca è stata abbondante; vi sono stati anche momenti in cui le acque erano agitate ed il vento contrario, come in tutta la storia della Chiesa» (27 febbraio 2013).
E Papa Francesco riprese l’immagine della barca agitata dalla tempesta in quella impressionante serata piovosa nella quale, solo, in Piazza San Pietro, pregò per il mondo sconvolto dalla tempesta della pandemia: «ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma nello stesso tempo importanti e necessari, tutti chiamati a remare insieme, tutti bisognosi di confortarci a vicenda » (v. 38).
L’agitazione è, insomma, una situazione frequente nella nostra vita: non possiamo sognare l’esistenza come una navigazione liscia, senza onde e senza vento. È più saggio imparare a gestire le onde agitate che non sognare un viaggio senza ostacoli. Ma da soli non ce la facciamo. Rischiamo il naufragio, perché non sappiamo né riparare le brecce della barca, né condurla in porto, quando è sballottata dalle onde. Il rapporto con il Signore si fa preghiera e la preghiera si fa supplica. Non dobbiamo avere timore di esprimere il nostro dolore nella preghiera – la Bibbia è piena di preghiere di supplica, anche molto accorate – perché i figli, quando sono in pericolo, invocano l’aiuto dei genitori. Il Vangelo inquadra quattro diversi comportamenti verso il Signore, quando la barca è agitata.
Il primo è quello di tacere e rimanere paralizzati, vittime della paura, ritenendo Dio lontano. La scena inizia con Gesù intento a pregare da solo e i discepoli presi dalla paura nella barca. Mentre lui prega il Padre, nella solitudine, loro tremano, per il terrore del naufragio. Ed effettivamente sono distanti: non solo fisicamente, lui sul monte e loro sul lago, ma anche emotivamente: lui sereno e loro agitati; e distanti spiritualmente: lui in preghiera e loro abbandonati. Il Signore spesso tace e sembra lasciarci soli a fare i conti con le nostre paure, che ci immobilizzano. Il silenzio di Dio, di fronte alle sofferenze umane, è pesante da portare. In certe situazioni Dio ci appare indifferente e lontano, perché non elimina il pericolo, il dolore e la morte. È la sensazione che ha avuto Gesù stesso sulla croce, quando ha gridato “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. E la risposta del Padre non è arrivata subito, ad evitare la morte del Figlio, ma si è espressa solo dopo la morte e il sepolcro. La fede è fatta anche di questi momenti di silenzio e di buio, che lasciano in sospeso i nostri “perché” e ci fanno misurare quanto siamo piccoli ed esposti ad ogni rischio senza la presenza del Signore, quanto abbiamo bisogno di lui, quanto la sua assenza – o presunta tale – ci fa male.
Il Vangelo fotografa poi un secondo atteggiamento; quando i discepoli vedono Gesù camminare verso di loro sul mare, gridano: “è un fantasma!”. Non è ancora una preghiera, ma un’esclamazione terrorizzata. “Fantasma” significa frutto della fantasia, proiezione delle paure interiori. I fantasmi spaventano, e infatti i discepoli gridano dalla paura. Per qualcuno Dio a volte assomiglia ad un fantasma, fa paura, desta timore, richiama solo il giudizio e la condanna. Per quanto Gesù abbia predicato Dio come un padre e lo abbia descritto con i sentimenti di una madre, prevale qualche volta nella religiosità diffusa, anche in ambito cristiano, l’idea di un Dio che aspetta solo di punire gli errori. In realtà questo atteggiamento non è cristiano, ma risponde ad un’esperienza spirituale legata ai turbamenti interiori, a quel senso di punizione incombente che accompagna i nostri comportamenti sbagliati. Dio diventa un fantasma, desta inquietudine e paura, quando – come gli dèi delle religioni arcaiche e del politeismo antico – è la proiezione dei timori, dei sensi di colpa e di un metro troppo umano di giustizia, per cui Dio già quaggiù dovrebbe punire i peccati e premiare le virtù.
Gesù però rassicura i discepoli: “Coraggio, sono io, non abbiate paura”. Dice: guardatemi, sono quello che vi ha svelato il volto di un Dio vicino, che è amore. Ma Pietro gli lancia una specie di sfida, sotto forma di preghiera: “Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque”. “Se sei tu, comanda”: Pietro non si fida del tutto, vuole contrattare, vuole fare un patto.
Testo integrale della catechesi disponibile sul sito www.diocesicarpi.it