Una vicenda inquietante che interroga sui poteri di politica e magistratura
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Quando leggerete queste righe non so quale piega avrà preso la vicenda dei migranti portati in Albania e riportati in Italia a tempo di record, a seguito di una sentenza del Tribunale del Lazio. Per ora, l’impressione è quella di trovarci davanti ad un naufragio, quello della politica, di un colore e dell’altro, e quello di uno tsunami partito dalla magistratura. Cercherò di entrare nel vespaio dei fatti, con il maggior distacco possibile, ma anche con quel minimo di razionalità che è indispensabile, se si vuole che la bontà sia anche buona e non si riduca a buonismo o a ideologia col paraocchi.
Sulla vicenda dei profughi, che arrivando in Italia vengono considerati senza titolo per rimanere e, quindi, destinati al rimpatrio, si confrontano e si scontrano due diverse progettualità. La prima è quella del governo, condivisa in gran parte anche della Commissione europea sull’immigrazione. Secondo questa lettura, il fatto di collocare queste persone in un Paese non ancora membro dell’Europa, rappresenterebbe un forte incentivo a non mettersi su un barcone per approdare a Lampedusa. Come dire: se qualcuno vuol decidere di partire, sappia che non è automatico che, una volta arrivato in Italia, quella sarà la destinazione definitiva. La seconda lettura è quella dell’opposizione che, tirando in ballo anche la possibilità di risparmiare, propone di investire su nuovi centri di accoglienza in Italia, per gestire qui e non all’estero il problema.
Tra questi due poli tra loro non comunicanti, dove è difficile distinguere giusto e sbagliato, sta tutto l’oceano in tempesta mosso dalla magistratura, la quale ha disposto l’immediato rientro dei 12 profughi portati in Albania, in quanto è “impossibile riconoscere come Paesi sicuri gli Stati da cui provengono le persone trattenute”. Ossia l’Egitto e il Bangladesh, motivo per cui questi poveracci non potranno mai essere rimpatriati. La giudice che ha gestito la pratica giustifica la scelta fatta dicendo di ispirarsi a quanto afferma la Corte di Giustizia europea, dove si sostiene che Egitto e Bangladesh non sono Stati sicuri. E qui casca l’asino o, se volete, il grande dilemma da chiarire. La magistratura italiana deve seguire quanto dice l’Europa o quello che sostiene l’Italia, quando afferma che questi due Stati sono invece sicuri? Tanto più che la Commissione europea per l’immigrazione scrive: “Ai fini dell’esame delle domande di protezione internazionale, la normativa europea prevede che gli Stati membri possano stilare una lista di Paesi sicuri”. Stilarla di comune accordo o anche indipendentemente? Ricorda poi che alcuni Paesi considerati sicuri potrebbero però escludere determinate aree o categorie di persone. Il riferimento è a quelle realtà che non riconoscono i diritti omosessuali e LGBTQI+.
A questo punto uno si chiede: fuori dall’Europa quali sono i Paesi sicuri? A cominciare dagli Stati Uniti. Come potremmo dare il foglio di via a un americano del Texas, della Virginia, dello Utah… visto che da quelle parti c’è la pena di morte? Una provocazione ma non troppo, tanto per ricordare che la magistratura ha aperto a due scenari alquanto problematici. Il primo è che d’ora in poi diventerà impossibile rimpatriare qualcuno. Se è essa a decidere quali sono i Paesi insicuri, anziché i governi, ovvio che le espulsioni sono terminate. Se si va a vedere, nessuno che scappa dalla sua terra, per venire in Italia, viene dal paradiso terrestre. Si troverà sempre una ragione per dire che scappa da terre insicure. Di conseguenza, la seconda domanda, rivolta anche all’opposizione vuole sapere se la soluzione del problema vada ricercata dalla politica o se vada lasciata alla discrezionalità dei magistrati. Il dibattito è aperto.