La difficoltà di una bioetica pratica
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
È sempre molto difficile, nella pratica clinica, accordarsi su quei fondamenti etici sui quali costruire un indirizzo procedurale condiviso da tutti gli attori chiamati in causa. In buona sostanza, se siamo un gruppo di professionisti e cerchiamo una soluzione etica ad un caso, al letto del paziente, sarà difficile trovare una soluzione univoca; pensiamo poi come la cosa può essere ancora più difficile in ambito nazionale ed oltre. Protagora già invocava modelli condivisi del comportamento morale dell’uomo; Aristotele raccomandava uno sviluppo prudente e armonico dell’essere umano verso il bene; Kant propose una concezione autonoma radicata nella ragione umana che conduce a principi universali di salvaguardia dell’uomo.
Le scuole utilitaristiche, poi, hanno ridimensionato il bene ponendolo sullo stesso piano dell’utile e la consapevolezza, soprattutto moderna, del pluralismo, ha cercato di promuovere linee etiche basate sull’autonomia del pensiero che, a mio avviso, rimangono sempre troppo lontane da una verità condivisa perché basate su diversità non conciliabili tra loro. Quante altre teorizzazioni sui fondamenti dell’etica e della bioetica potremo ancora passare in rassegna ma chi poi deve far scendere questi principi nel pratico si trova e si troverà sempre abbastanza impacciato. Non è possibile, al letto del paziente, trovare sempre “la” soluzione ma ci si deve accontentare di trovare “una” soluzione, basata sul minimo danno o sul minimo costo etico e questo non è sempre “digeribile” da chi pretende che le questioni si risolvano sempre nella verità piena, ovviamente, contestualmente, mai fermarsi ma continuare nella ricerca speculativa nelle retrovie della bioetica pratica.
Credo che il miglior bene possibile sia l’unica soluzione pratica in un contesto pluralista formato da diverse angolature rispettabili. Sicuramente una pietra d’inciampo è la difficoltà, presente in ogni epoca, dell’accoglienza senza preclusioni di una cultura interdisciplinare che coniughi il sapere scientifico con il sapere filosofico e umano. Questa intuizione di Potter, che ha fatto nascere la bioetica nel secolo scorso, manca ancora di una piena realizzazione.