Cibeno, l’impegno dei laici per portare speranza
A Sant’Agata Cibeno, i laici si impegnano perché tutti si sentano accolti. Punto di riferimento è il parroco, don Andrea Zuarri
di Pietro Paulo Spigato
Che valore dare a chi porta speranza ai dimenticati? Siamo partiti da questa domanda per capire fino in fondo lo stile di vita parrocchiale della comunità di Sant’Agata Cibeno, tra le parrocchie più popolose della città di Carpi. Abbiamo raccolto i contributi del parroco don Andrea Zuarri, di Lisa Bernini e Maximilian Lanaro, coppia di sposi che guidano insieme una classe del catechismo, partecipano al gruppo sposi e s’impegnano in altre iniziative parrocchiali, e di Alice Seidenari, educatrice e giovane di AC attiva in tantissime attività, fra cui Centro Estivo ed ACR. “Per prima cosa – esordisce don Andrea – è necessario definire chi sono i dimenticati. Immediatamente pensiamo agli utenti della Caritas, ma la categoria è molto più ampia. Dimenticati per che cosa? Per il desiderio di felicità, bellezza e giustizia. La platea si allarga parecchio e non ha confini di censo, età o presenza. Il cuore dell’uomo desidera determinate cose e spesso ce ne dimentichiamo. Anche alla Caritas diamo generi alimentari ma non dobbiamo mai dimenticarci di ascoltarli. Vedo in giro che di gente sola ce n’è tanta, sola dentro. Anche nella nostra comunità e nei nostri gruppi. Andare incontro a questa solitudine e andare incontro ai loro bisogni e desideri più profondi è immettere speranza”.
Anche Alice pone l’accento sulla necessità di speranza di tutte le componenti della comunità, e non solo di chi ha difficoltà più evidenti e tangibili: “Guardandosi intorno capita di vedere molti volti di-sperati, che hanno perso la speranza da molto tempo, e faticano a ricentrarsi, a ritrovare una fonte viva. La comunità perde speranza quando allontana, etichetta, obbliga, chiude, non ascolta. In questi contesti, chi porta speranza prova a tracciare nuovi percorsi creativi, ripensando modalità e percorsi di fede, con la certezza che c’è ancora molto da fare e da vivere insieme. Così facendo crea ponti e spazi per tutti e tutte, cercando di dare un respiro futuro a chi si è arrabbiato, o anche solo a chi si è intiepidito. Non sempre funziona, la speranza, ma certamente se ne percepisce la presenza”.
A questo punto, chiarito che i dimenticati sono una categoria ben più ampia di quella che si potesse pensare, viene da domandarsi in che modo la comunità parrocchiale riesce a farsi portatrice di speranza. “I primi gesti che mi aiutano sono la messa e la preghiera, che mi richiamano ogni giorno ad una esperienza che dà coraggio e vita – sottolinea don Andrea -. Da lì passa tutta la realtà. La nostra liturgia non può essere un tetto sigillato, deve far passare l’acqua per la vita della gente. Questo è il senso dell’obbligo del breviario, che mi è stato affidato con l’ordinazione, ovvero l’essere un punto di raccordo fra la domanda del cuore dell’uomo e la risposta di Cristo”.
Lisa e Maximilian ritengono che la speranza si trovi e si doni nel servizio: “Nella maggior parte dei casi, nel tentativo di donare qualcosa agli altri, quello che ci pordi a casa è sempre più grande di quello che possiamo donare: sono i ‘rischi’ del lavorare nella vigna del Signore. Nel catechismo il tentativo di portare speranza si traduce nel trasmettere a questi piccoli a noi affidati l’amore incondizionato di Cristo per tutti. E il frutto è dato dai sorrisi dei fanciulli, dalla loro voglia di essere lì con noi, e dalle loro mille domande su piccoli e grandi problemi della vita; la risposta è sempre l’essere amati da Gesù, e con questa consapevolezza non può non esserci speranza”. Alice definisce la speranza come una fatica leggera, che si pratica ben volentieri per la propria comunità: “Mi sembra uno di quegli slanci innati che partono dal basso, slanci che senti come necessari. Nelle persone della nostra comunità mi capita di vederli laddove c’è un grande desiderio di condividere l’amore ricevuto, dagli altri e dal Signore. In particolare, penso a quei gruppi parrocchiali che, nel corso del tempo, si sono ritrovati appesantiti dalle diffi coltà, arrancando sotto il peso della fatica, ma che a un certo punto si interrogano su come ripartire, ricostruire, rigenerarsi”.
L’operosità della parrocchia di Cibeno è fatta non solo di momenti di formazione, ma anche di tanti spazi per coltivare un senso profondo di comunità, come la Sagra Patronale, il Centro Estivo e i numerosissimi eventi, alcuni spirituali e di preghiera ed altri più conviviali. In tutte queste attività è possibile portare la speranza? “Un contesto nel quale amo lavorare – dichiara Lisa – è la cucina. Si entra in contatto con tante persotiamo ne, condividendo storie di vita, gioie, problemi. Spesso la stanchezza, la fatica fisica, le temperature proibitive si fanno sentire, ma il sentirsi una comunità che lavora insieme per uno scopo comune e la fratellanza derivante dall’essere figli di Dio rendono tutto più leggero. E questa è letizia, magari non perfetta come piacerebbe a San Francesco, ma letizia data dal lavorare insieme nella vigna del Signore. La consapevolezza di servire, facendo del nostro meglio, è fonte di grande speranza per noi e per la nostra comunità, nel tentativo di iniziare a costruire, già qui in terra, il Regno dei Cieli”.
Lo stesso vale per Maximilian, quando è impegnato nella sua opera di ministro straordinario della Comunione eucaristica: “Qui certamente il bisogno di speranza si tocca più da vicino. Lo si percepisce nell’accoglienza sempre calorosa che ricevo e nel clima di reale attesa di qualcosa di importante che si respira. A volte, mentre con queste persone si parla dell’importanza di ricevere la Santa Comunione, gli occhi brillano e la voce si incrina, segno della rinnovata speranza che questo sacramento porta”.
Per don Andrea la speranza prescinde dalle iniziative di per sé ed è da ricercare nelle persone che le concretizzano: “Difficile individuare una attività, conta poco. Conta la gente che c’è. Le cose più belle sono quando la gente ‘si prende su’ e propone per sé e per la comunità una risposta ad un proprio desiderio. L’ultimo in ordine cronologico è stato aprire un gruppo giovani adulti, che ha una settimana di vita e vedremo come crescerà. Il proporre agli altri è una fonte di speranza. Non è più tempo che solo il prete propone o tira avanti, ma deve correre dietro, avere più fiato che forza. È bello far nascere le piante e poi vedremo se stanno bene con quelle di fianco. Dà speranza nella comunità quando qualcuno prende in mano la sua vita e comincia a giocarla per gli altri”.