Se vuoi ereditare la vita eterna…
La Chiesa di Modena e di Carpi ha un nuovo diacono, il seminarista Francesco Roggiani. L’omelia del vescovo Erio
Era gremita la chiesa di San Giuseppe Artigiano a Carpi, nella serata dello scorso 12 ottobre, per l’ordinazione diaconale del seminarista Francesco Roggiani. Tantissimi hanno voluto unirsi alla preghiera con e per lui in questa tappa così importante del suo cammino in preparazione al sacerdozio. Presenti, da Mirandola, i famigliari e gli amici, così come i fedeli e le diverse realtà associative di San Giuseppe, parrocchia dove Francesco presta attualmente servizio. A presiedere la liturgia il vescovo Erio Castellucci, coadiuvato dal vicario generale, monsignor Gildo Manicardi, e dal rettore del Seminario interdiocesano di Modena e Carpi, monsignor Maurizio Trevisan, insieme a numerosi confratelli sacerdoti. Pubblichiamo di seguito alcuni stralci dell’omelia del vescovo Erio. Testo integrale su diocesicarpi.it (…) Non solo la tradizione religiosa di Israele, ma anche la tradizione filosofica dei Greci ha stimato la sapienza superiore agli altri beni; del resto la parola “filosofia” significa “amore per la sapienza”. Quella di Israele è però una sapienza più pratica, una saggezza con i piedi per terra, che sa far bene i conti, come abbiamo pregato nel Salmo: “insegnaci a contare i nostri giorni”. Non è un conto alla rovescia inquietante (…) No, “contare i giorni”, prosegue il salmista, significa “esultare” e “gioire” “per tutti i nostri giorni”: non un conto alla rovescia a partire dalla morte, ma un conto dall’inizio della vita per apprezzare ogni giorno come un dono.
(…) Per tre volte Gesù richiama il regno e due volte è ricordata la vita eterna. Si delinea una sapienza più profonda, che inserisce nel conto dei giorni non solo l’esistenza terrena, ma anche il suo transito oltre la morte. Le voci di bilancio si allargano all’eternità, senza sminuire la densità di questa vita, ma anzi dandole un valore ancora più grande. Quale valore? Lo scopriamo un po’ alla volta, a partire dalla domanda dell’uomo ricco a Gesù: “che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?”.
Caro Francesco, coniugando oggi la scelta di seguire Gesù nel celibato con la scelta ad imitarlo nel diaconato, ti consiglio di fare tua l’obiezione impertinente di Pietro: “ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”. Pietro resta in sospeso, ma indoviniamo l’implicito: “che cosa ce ne viene in tasca?”. Questi ragionamenti contabili sono mossi, in Pietro, dal rifiuto opposto dall’uomo ricco alla proposta di Gesù. L’uomo aveva impostato bene la richiesta, gettandosi perfino in ginocchio ai piedi del Maestro. Aveva iniziato in modo impeccabile, e il seguito prometteva bene: appena Gesù terminò l’elenco di alcuni comandamenti, lui poté dire di essere in regola, e fin da giovane. Cosa pretendere di più? Gesù avrebbe dovuto complimentarsi, congedarlo e indicarlo come modello. E invece si dichiara insoddisfatto: a quel tale manca qualcosa. Che cosa, il Maestro non lo dice, ma viene già un sospetto: nell’elenco dei comandamenti, Gesù aveva pescato solo dalla seconda tavola della Legge, che riguardava il rapporto con gli uomini e le cose, saltando completamente la prima e fondamentale tavola, che si occupava del rapporto con Dio.
Ma Gesù non gli dice astrattamente: “ora ti manca di mettere Dio al primo posto”; piuttosto, va concretamente a disturbare l’idolo che quell’uomo aveva messo al primo posto, il posto di Dio: le ricchezze. (…) Dunque, ora aggiunge: se vuoi ereditare la vita eterna, “vendi quello che hai, dallo ai poveri e poi seguimi”. Tutte e tre le azioni sono essenziali. “Vendi”: dimostra il distacco dal tuo idolo, la libertà dal tuo tesoro. “Dai ai poveri”: condividi, trasforma i beni in risorsa per chi non ne ha. “Seguimi”: dopo potrai camminare speditamente, dietro a me, sul sentiero della vita piena. Fiato sospeso, silenzio: che cosa risponderà quel tale? Deve rifare i conti in un attimo; e il risultato è in rosso: incupito, volta le spalle e sparisce. Gesù non si è trovato di fronte ad un uomo che possedeva dei beni, ma a dei beni che possedevano un uomo. Francesco, tra poco risponderai a Pietro, dopo avere fatto bene i conti – sei anni di Seminario non sono uno scherzo – che seguire Gesù conviene: ti incamminerai, insieme a tanti fratelli, sul sentiero del dono totale per il Vangelo del regno. Entrerai in quel bilancio strano, il centuplo più la vita eterna, che sembra truccato, perché promette un interesse insostenibile da qualsiasi banca. Ma il conteggio di Gesù non è sulla quantità, è sull’intensità: il centuplo è la rete di relazioni nuove e più profonde, fraterne, materne, paterne e filiali, nella quale stai per entrare con la scelta di seguire Gesù celibe e servo. Una parentela, questa, che costa anche persecuzioni – come nota Marco, con la solita concretezza – ma che riempie il cuore, se il cuore si svuota del proprio “io”.
In questo bilancio però c’è una voce nascosta, senza la quale i conti non tornano. La svela Marco, con una pennellata tanto rapida quanto incisiva, nel dialogo tra Gesù e l’uomo ricco: Gesù, “fissò lo sguardo su di lui, lo amò”. Questo sguardo amorevole, gettato da Gesù prima della risposta, non attende la decisione dell’uomo, ma la previene: l’amore del Signore non si lascia condizionare dal nostro assenso, ma anticipa qualsiasi risposta. Lui ama a prescindere. (…)
+ Erio Castellucci