Don Guido, uomo della carità che sapeva comunicare lasciando profumo di Dio
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Domenica 20 ottobre avrebbe dovuto ricevere il Premio Santa Eufemia, per quanto aveva fatto, fondando Radio-Telepace e per tutta la carità che aveva distribuito a piene mani, confidando esclusivamente nella Provvidenza, così come aveva imparato guardando a San Giovanni Calabria, il santo che aveva fatto della Provvidenza l’unica cassaforte della sua vita. Ma monsignor Guido Todeschini se ne è andato prima di riceve il premio dagli uomini, andando direttamente all’incasso di quello del Cielo, proprio nel giorno in cui la liturgia faceva memoria del santo cui si era ispirato.
Essendo da 35 anni collaboratore dell’emittente di don Guido, così era chiamato familiarmente da tutti, mi si chiede da più parti di commentare il suo operato, mettendo in luce gli aspetti più significativi della sua vita. Con don Guido, però, più che alle sue opere è necessario partire guardando a cosa ha fatto Dio in lui. A volte gli aspetti della nostra personalità finiscono per imporsi nella comunicazione con gli altri, ma con don Guido era impossibile non cogliere la presenza dello Spirito, che si era impadronito della sua esistenza, trasformandola in sale e luce del mondo.
Eravamo giovanissimi seminaristi quando entrammo nel suo studio in un momento in cui lui non era presente. Già allora godeva fama d’essere uomo di Dio. Sbirciammo tra i suoi libri per capire a quali sorgenti si ispirasse. Ci capitò tra le mani un suo biglietto autografo. L’aveva vergato poco dopo l’ordinazione con il suo sangue. Riportava un detto di san Domenico Savio che lui aveva fatto proprio: “la morte ma non peccati”. La cosa ci intimorì, lasciandoci in silenzio, ma anche nella precisa convinzione che, per quel prete, Dio era una questione seria. Si guarda a don Guido e il pensiero corre a Radio-Telepace. Ma prima è d’obbligo pensare a lui come educatore. Per quasi quattro decenni Casa Gioiosa, dove lui risiedeva tra i monti veronesi, era il luogo di vacanza per gli adolescenti della Diocesi. Si andava per di-vertirsi e si tornava pieni di ideali e buoni propositi. Era la sua arte di affabulatore che riusciva a risvegliare il sogno che è racchiuso dentro ogni ragazzo. E lo faceva ricorrendo alle figure di ragazzi che, nel Vangelo e nella Chiesa, avevano trovato la loro statura gigantesca. Una pedagogia che oggi sembra diventata improponibile, non solo per le sfide del mondo, ma anche per il venire meno della fede nello Spirito Santo, fede travolta da un paganesimo ecclesiale, che ci sta rendendo tutti razionalmente senza fiducia e senza speranza.
Don Guido è conosciuto ai più come il fondatore di Radio-Telepace. La chiamò con questo nome che, a molti sembrò più che altro devozionale. Parlar di pace 47 anni fa sapeva di roba da oratorio. Ma non ci è voluto molto per capire quanto questo nome sia stato tanto profetico quanto sostan-ziale. Oggi tutti si riempiono la bocca di pace, senza che a questo corrisponda la volontà di farne un programma di vita. Don Guido anche con i media si rivelò innovatore. A una cultura ecclesiastica che si serviva di giornali, radio e televisioni solo per fare da cassa di risonanza a ciò che vescovi e preti facevano altrove, egli ne fece uno spazio di evangelizzazione diretta. Con quel suo timbro nasale, raccontava i bisogni dei poveri, di qualsiasi tipo, risvegliando, negli spettatori e ascoltatori, la voglia di partecipare per trovarne la soluzione. Lui le chiamava gocce. In realtà erano torrenti di compassione.
Non è possibile chiudere il ricordo su di lui dimenticando la carità che ha compiuto senza misura. Verso chi era povero materialmente e spiritualmente. Gli chiesi un giorno il perché di tanta attenzione verso disperati, assassini che a me mettevano paura solo a nominarli. Per un padre, un figlio è sempre tale, mi rispose. E quel padre era Dio, cui lui prestava il cuore, le mani e la sua stessa vita.