Riunione congiunta dei consigli pastorali diocesani di Modena e di Carpi
Con la riunione congiunta dei consigli pastorali diocesani di Modena e di Carpi, presieduta dall’arcivescovo Erio Castellucci lo scorso 5 ottobre, un altro passo importante è stato compiuto nella comprensione e nella condivisione del percorso di unificazione che coinvolge fin da ora le due diocesi
di Luigi Lamma
Con la riunione congiunta dei due consigli pastorali diocesani di Modena-Nonantola e di Carpi, che si è svolta sabato 5 ottobre presso la parrocchia Gesù Redentore con oltre un centinaio di presenti, un altro passo importante è stato compiuto nella comprensione e nella condivisione del percorso di unificazione che coinvolge fin da ora le due diocesi. Dopo l’incontro dei due consigli presbiterali da cui è scaturito il comunicato che annunciava l’indicazione della Santa Sede di chiudere l’esperienza della condizione delle due diocesi in “unum episcopi” e procedere per l’unificazione, a cui è seguita l’assemblea interdiocesana di inizio anno, ecco il passaggio forse più significativo. Infatti i consigli pastorali sono gli organismi più rappresentativi del popolo di Dio perché in gran parte i consiglieri sono eletti, oltre a quelli di nomina diretta del Vescovo, e dove sono rappresentati tutti i carismi e ministeri, parrocchie, associazioni e movimenti, uffici diocesani per sostenere e consigliare il Vescovo.
La riunione di sabato scorso è stata l’occasione per il vescovo Erio Castellucci di dettagliare in modo esaustivo e puntuale il percorso che ha imposto alla chiesa italiana la riduzione delle diocesi sempre auspicato dai Papi a partire da Paolo VI nell’immediato post-Concilio. Non prima però di aver posto qualche decisivo punto fermo di ecclesiologia a partire dalla Lettera di Ignazio di Antiochia agli Smirnesi, passata alla storia come la più brillante risposta ai docetisti, coloro che di fatto mettevano in dubbio il mistero dell’incarnazione. Ecco allora che se Cristo si fosse fatto carne solo apparentemente si svuoterebbe la testimonianza dei cristiani, perderebbe significato il martirio. L’essere Chiesa ha ricordato mons. Castellucci non si basa sulla somma delle nostre buone volontà ma viene da una chiamata di Dio che ha il suo culmine nell’incarnazione del Figlio, Gesù Cristo, e ne diventa quasi una dilatazione pur nella complessa realtà di umano e divino contemporaneamente. Quali sono allora gli elementi costitutivi di una chiesa locale che la rendono diocesi, che altro non è che l’evoluzione di altre possibili forme di appartenenza al corpo della chiesa universale? Viene in aiuto il Concilio Vaticano II (decreto Cristus Domini, sulla missione pastorale dei vescovi nella chiesa) che indica quattro elementi costitutivi: dove circola la Parola di Dio; i sacramenti, tutti ma in particolare l’eucarestia; la pluralità di doni dello Spirito, quindi carismi e ministeri; il luogo, il territorio che ha un rapporto interattivo con la chiesa, per cui si parla di inculturazione. Si tratta di criteri su cui si può discutere e ai quali va aggiunto poi quello della “storia” a cui ha fatto riferimento anche Papa Francesco nel suo ultimo intervento sull’argomento. Sintetizzando poi la cronistoria si parte dal Concordato del 1929, con l’indirizzo di far coincidere le diocesi (allora 325) con le Province, poi il tema è riemerso in modo ufficiale con Paolo VI nel primo incontro con l’episcopato italiano nel 1964 (“i problemi non possono essere risolti da quel vecchio medico che è il tempo che non corre a nostro vantaggio”), ripreso poi nel 1966 (“non possiamo tacere che occorre dare alle diocesi una dimensione sufficiente…con la fusione di non poche diocesi…operazione difficile che le piccole diocesi non devono temere”). Nel 1968 l’istituzione di una Commissione di 40 vescovi che elaborò un documento di 2800 pagine e una proposta per portare le diocesi a 118-122. Con Giovanni Paolo II si diede attuazione al nuovo concordato e le diocesi scesero a 228. In un articolo sull’Osservatore Romano si giudicò la riforma “parziale” perché il numero ideale doveva essere di 119 diocesi. Nel 2006 la Congregazione dei Vescovi riprende in considerazione la questione indicando tra i criteri una base minima in 90mila abitanti. Si arriva a Papa Francesco che già nel 2013 chiedeva di mettere mano al numero delle diocesi per cui dal 2019 ad oggi esistono in Italia 41 situazioni di diocesi “in unum episcopi”, la strada scelta da Francesco per arrivare alle unificazioni. Il resto è storia già nota ovvero che indietro non si torna e chi ha già avviato una unione viene invitato a procedere il più presto possibile all’unificazione. E questo è il caso di Modena-Nonantola e Carpi.
Come aveva già affermato nel corso dell’assemblea diocesana mons. Castellucci ha confermato che il percorso va avviato ma non è stata imposta una data di termine e ha ribadito alcuni principi che orienteranno il processo dell’unificazione tra Modena e Carpi: non c’è soppressione o assorbimento ma si darà vita ad una nuova diocesi; sarà coinvolto anche l’aspetto amministrativo che riguarda i beni diocesani e i due Istituti per il Sostentamento Clero; si curerà un nuovo assetto territoriale che secondo un’ipotesi solo abbozzata potrebbe prevedere sei o sette vicariati o zone, ovvero grandi aree con il riferimento di un Vicario pastorale indicato dal Vescovo.
Dopo l’intervento del vescovo Erio, mons. Maurizio Trevisan, vicario episcopale per l’ambito pastorale dell’arcidiocesi Modena-Nonantola, ha aperto il dibattito tra i presenti, non prima di aver comunicato che dalla prossima riunione del consiglio pastorale interdiocesano, l’incarico di segretaria unica sarà affidato a Laura Lamma di Carpi, affiancata da Francesco Ghelfi di Modena. Numerosi gli interventi che hanno sottolineato vari aspetti della relazione del Vescovo ed espresso reazioni e sentimenti di fronte al processo di unificazione tra le due diocesi che sta iniziando.