Ricordo di Norina Galavotti, “mamma di Nomadelfia”
Testimonianza dei nipoti di Norina Galavotti, “mamma di Nomadelfia”, letta lo scorso 28 settembre all’inaugurazione della Casa della Comunità di Mirandola a lei intitolata
Norina Galavotti (Ph Nomadelfia)
Pubblichiamo la testimonianza letta da Angela Galavotti, a nome di tutti i nipoti di Norina, lo scorso 28 settembre all’inaugurazione della Casa della Comunità di Mirandola intitolata alla “mamma di Nomadelfia”.
Ci capita spesso di attraversare vie e piazze o di accompagnare i nostri figli o nipoti in scuole che recano i nomi di grandi personaggi. E ci capita anche di pensare che di questi personaggi, alla fin fine sappiamo molto poco. Eppure sono stati importanti, hanno lasciato un segno, talvolta sono stati celebrati come grandi eroi. Ma il tempo, pian piano, ne ha limato il ricordo. E anche se questo è inevitabile, continuiamo a sentire il bisogno di associare dei nomi di grandi personaggi alle strade e alle cose che ci sono più care nelle nostre città e nei nostri paesi.
Norina Galavotti non è stata uno di questi grandi personaggi: non ha guidato eserciti e vinto battaglie; non ha presieduto un partito o un governo; non ha conquistato scudetti di campionato o medaglie olimpiche. Eppure, nella sua umiltà, ha fatto qualcosa di grandioso, al punto che ancora oggi, a poco più di dieci anni dalla sua morte si è deciso di intitolare proprio a lei questa struttura.
Chi è stata allora Norina Galavotti? Vorrei dire che è stata anzitutto una figlia di questa terra. E di questa terra ha assunto la fierezza e l’essenzialità. È cresciuta in una famiglia di contadini in una casa accanto al canale diversivo; una casa abitata dai genitori e da dodici tra fratelli e sorelle; in questa casa ha vissuto una vita sobria ma segnata da una costante apertura verso chi aveva bisogno. Si potrebbe dire che è stata cresciuta a polenta e rosario, come è capitato a tanti dei nostri vecchi che ormai non ci sono più. Norina era anche una ragazza che, come ha raccontato nel suo libro di memorie, aveva i piccoli desideri di ogni ragazza: mangiarsi un buon gelato, oppure comprarsi un bel vestito. Ma tutti questi piccoli sogni sono caduti dopo l’incontro con un prete santo e folle (ma folle di Dio): don Zeno Saltini, che durante i primi anni Quaranta era cappellano a San Giacomo Roncole.
Don Zeno metteva al primo posto la carità: proprio nel senso di trovare ogni mezzo possibile per voler bene alle persone che avevano bisogno. Ed erano tante negli anni della guerra e del primo dopoguerra: tra queste tantissimi bambini. Avevano bisogno certamente di pane e di vestiti; ma avevano bisogno di sentirsi accolti in una casa, di diventare parte di una famiglia. Nel 1944 Norina, all’età di 21 anni, decise allora di seguire quella che sentiva essere una chiamata. La chiamata ad essere una mamma per questi bambini di cui don Zeno si era fatto carico con enormi sacrifici. E da San Giacomo Roncole, Norina aveva seguito don Zeno anche nell’ex campo di concentramento di Fossoli, che dopo la guerra era diventato la prima sede di Nomadelfia. Seguirono anni difficilissimi: don Zeno, sommerso dai debiti e accusato di non essere troppo compiacente con il potere, fu abbandonato da tutti; anche Norina si vide togliere dai tribunali tutti i figli che le erano stati affidati sino a quel momento.
Norina, insieme agli altri uomini e donne di Nomadelfia, non si diede per vinta e ricominciò la sua vita di mamma di vocazione vicino a Grosseto, dove Nomadelfia trovò la sua sede definitiva. Nel corso dei settant’anni spesi come mamma di vocazione, Norina ha fatto così da madre per ben 74 bambini. Nel suo libro di memorie Norina ha raccontato tanti episodi di questa vita da mamma, sicuramente eccezionale. Ma quello che più colpisce in queste pagine è che si tratta del racconto di una vita cristiana fatta di tanti episodi normali, che non sono stati infiocchettati con sospiri o visioni; è stata una vita, quella di Norina, segnata da gioie, dolori, sorprese, preoccupazioni, imprevisti e, talvolta, anche dei lutti. Ma tutto questo è stato vissuto con la serenità di chi, semplicemente, voleva vivere il vangelo sino in fondo.
Credo che, alla fine, si possa dire che Norina, mettendosi alla scuola di don Zeno, ha capito che la vita, e non solo la vita cristiana, acquista un senso pieno se la si vive con gli altri e per gli altri. Questo Norina l’ha fatto sempre, giorno dopo giorno. E allora sì che possiamo dire che anche la vita di Norina, all’apparenza così semplice e nascosta, è stata invece una vita eccezionale. Ed è bello che il suo nome sia ora associato, qui nei luoghi in cui è nata, a una istituzione che si chiama «Casa di Comunità», due parole che sono state centrali nella vita di Norina.
I nipoti di Norina