Omelia del vescovo Castellucci alle esequie del vescovo Tinti
Il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Erio Castellucci alla Messa di esequie del vescovo emerito Elio Tinti giovedì 26 settembre, nella Cattedrale di Carpi
Foto Marcello Testoni
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia pronunciata dal vescovo Erio Castellucci alla Messa di esequie del vescovo emerito Elio Tinti giovedì 26 settembre, nella Cattedrale di Carpi.
+ Erio Castellucci
Il grido di gioia con il quale Gesù loda il Padre perché si rivela ai piccoli, seguito dall’invito a prendere il suo giogo, mi è sembrato il passo evangelico più adatto per salutare il caro vescovo Elio. Gli disobbedisco, perché ha lasciato una traccia della predica da fare al suo funerale e io l’ho ricevuta solo poco fa, quando ormai avevo scritto l’omelia. Ma avrei disobbedito ugualmente, perché nella sua traccia non parla di se stesso, mentre io vorrei dire qualcosa di lui, tenendo il Vangelo sullo sfondo. In questi due giorni, da quando si è diffusa la notizia della sua morte, ho ricevuto parecchie attestazioni di affetto e riconoscenza, alcune molto commosse, nelle quali tornavano spesso due idee: cordialità e vicinanza. Don Gildo, avendolo conosciuto molto bene, ha ricordato la sua persona e figura con tratti efficaci. Io vorrei semplicemente far risuonare la testimonianza di don Elio alla luce del Vangelo.
Due idee, dunque – cordialità e vicinanza – alle quali lui dava corpo con evidenza. Era un uomo veramente cordiale. Accoglieva l’interlocutore con un’esclamazione di benvenuto, e contemporaneamente porgeva la mano e si apriva in un sorriso. Non ho mai avuto l’impressione che si sforzasse: la sua cordialità gli era connaturale, era un dono che il Signore gli aveva elargito senza avarizia; non si riesce a scorporare don Elio da questa sua accogliente umanità. “Cordialità” è una virtù che contiene la parola “cuore”; parola che nella Bibbia ricorre centinaia di volte e che esprime non solo la sfera sentimentale, come spesso accade oggi, ma anche quella dell’intelligenza e della volontà. Il cuore è il nucleo della persona, la sede delle emozioni, della ragione e delle decisioni. Don Elio aveva un cuore grande. Non era sentimentale, però metteva della passione autentica in tutto ciò che viveva, sia nelle relazioni come nelle iniziative. Aveva anche un’ottima intelligenza; non era un intellettuale, ma sapeva dosare bene la ragione, specialmente nel campo della cultura giuridica e nella spiritualità. Aveva una forza di volontà incredibile; non era però uno stoico, ma si affrettava ad attribuire alla grazia di Dio tutto ciò che faceva di buono. Solo chi coltiva nel proprio intimo la lode a Dio – “ti rendo lode o Padre” – può guadagnare un tratto umano così bello. I parrocchiani nelle comunità in cui ha prestato servizio, specialmente San Cristoforo di Bologna, e poi i seminaristi – molti dei quali ora preti – che lo hanno avuto come Rettore al Regionale, e infine i fedeli della nostra Diocesi di Carpi, dove è stato pastore per oltre un decennio: tutti lo ricordano per la sua cordiale umanità. Don Elio sapeva anche diventare severo; non era affatto accomodante o arrendevole e sosteneva con fermezza le idee e le decisioni in cui credeva. Ma cercava di dominarsi in ogni occasione, facendo prevalere alla fine la sua indole cordiale.
Non tutto è filato liscio nella sua vita: è stato visitato ripetutamente dalla malattia, anche grave, che ne ha segnato la salute; ha attraversato molte fatiche umane e pastorali e vissuto gravi lutti personali. Una delle prove più grandi della sua vita è stata la morte per incidente stradale di tre seminaristi – Paolo, Carlo e Alberto – alla vigilia dell’Assunta di trent’anni fa, proprio nel giorno del suo compleanno. Fu un dolore immenso per le famiglie e gli amici, per le Diocesi di Bologna e Cesena, per il Seminario Regionale. In quell’occasione la fede granitica di don Elio sostenne tante persone, che riuscirono anche grazie a lui ad affidarsi ai piani insondabili del Signore, al di fuori del quale ogni “perché” naviga nel mare del nulla. Credo che sia stata la sua consuetudine con la sofferenza, anche fisica, a renderlo così sensibile alle condizioni altrui. “Vicinanza” è la seconda parola più usata da chi lo ricorda in questi giorni. Quando una persona convive con le fatiche, o diventa aspra, scontenta e irritabile, oppure – se trova un senso, magari nella fede – diventa comprensiva, capace di dare peso a ciò che l’ha davvero, accogliente. La familiarità con le fatiche ha forgiato la sua capacità di farsi prossimo: non solo di essere vicino alla gente, ma anche di farlo capire, di trasmettere quasi fisicamente l’energia della sua presenza. Il giogo di Gesù, quello che nel Vangelo lui propone come peso leggero da condividere, si è appoggiato sulle spalle di don Elio, ma non l’ha schiacciato. Gli ha dato piuttosto la capacità di sollevare altri dal giogo, di prendere spesso su di sé la situazione dei “piccoli”, come li chiama il Vangelo, cioè di colore che richiedono attenzione e cura pastorale: fossero i parrocchiani o gli alunni, i presbiteri, i laici o i consacrati, i sani o gli ammalati. E l’ultimo segno della sua vicinanza è la scelta di ricevere sepoltura qui, nel Duomo che è stato il segno del suo ministero, il centro della città e della Chiesa che ha tanto amato.
“Ti rendo lode, Padre”: ora, don Elio, puoi dare voce e canto alla pienezza del tuo grande cuore; ora puoi essere davvero e pienamente cordiale, sciolto dai lacci del dolore; ora puoi realizzare quella prossimità a cui tendevi infaticabilmente; ora, svelatosi per te il volto del buon Pastore, puoi finalmente gioire di quel mistero d’amore al quale hai regalato la tua esistenza.
Esequie del vescovo emerito monsignor Elio Tinti