Ordinazione sacerdotale di Stefano Simeoni, l’omelia del vescovo Erio
In Cattedrale l’ordinazione presbiterale di Stefano Simeoni, avvenuta lo scorso 21 settembre. Nell’omelia del vescovo Erio l’esortazione a rifuggire i titoli e gli onori per un vero ministero sacerdotale
Un clima di grande festa ha accompagnato la celebrazione eucaristica con l’ordinazione presbiterale di Stefano Simeoni, presieduta dal vescovo Erio Castellucci, alla presenza di numerosi sacerdoti di Carpi e di Modena, che si è svolta sabato 21 settembre in Cattedrale a Carpi. Tanti i giovani che hanno voluto essere vicini a Stefano in questa speciale occasione, in particolare quelli che ha incontrato nelle diverse esperienze pastorali del periodo di formazione a Mirandola e attualmente nella parrocchia dei Santi Faustino e Giovita di Modena. In quest’ultima parrocchia don Stefano proseguirà il servizio dopo l’ordinazione. Dal novello sacerdote al termine della celebrazione parole di gratitudine per tutti coloro che a vario titolo hanno sostenuto e accompagnato la maturazione della sua vocazione a donare la vita al Signore, e di profondo affetto per la mamma Otilia, il fratello Gianluca e la sorella Daniela. Con un gesto altrettanto carico di affetto per la Madonna, al cui Cuore Immacolato ha consacrato la sua vita e il suo sacerdozio, Stefano ha infine deposto un omaggio floreale all’altare dell’Assunta.
L’omelia del vescovo Erio
“Non capivano queste parole”. Non bastava ai discepoli la garanzia che sarebbe risorto dopo tre giorni. Del resto Marco, pochi versetti prima, aveva annotato un particolare: a Pietro, Giacomo e Giovanni, subito dopo la Trasfigurazione, Gesù fece un cenno alla sua prossima risurrezione, ma essi si chiesero “che cosa volesse dire risorgere dai morti” (9,10). È troppo lontana dall’orizzonte religioso dei discepoli l’idea di un Messia che doveva essere consegnato nelle mani degli uomini e ucciso. Il Figlio dell’uomo, la figura messianica con cui Gesù si identifica, per gli ebrei doveva venire “sulle nubi del cielo” (Dan 7,13) per riscattarli dall’oppressione; non poteva certo soccombere come un fallito, un vinto. Doveva essere un sovrano, non un servo, un liberatore, non un condannato. Per questo “non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo”.