Non trasformiamo il Covid in una finta pandemia per le ingordigie dei politici
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Da un certo tempo a questa parte, tutta una frangia di ciò che continuiamo a chiamare informazione sta tentando di far passare l’idea che il Covid sia stato, né più né meno, che una grande truffa. Una fase storta di questa nostra epoca dove qualcuno si è inventato un film senza corrispondenza con la verità dei fatti. Solo per insinuare che medici, aziende farmaceutiche, opinionisti televisivi e politici avrebbero creato tanta enfasi su quella pandemia, per costruirci sopra le loro fortune.
Che in ogni vicenda si nasconda il virus dell’ingordigia è un dato di fatto. A questo proposito basterebbe pensare ai banchi distanziatori con le rotelle, costati centinaia di milioni ed ora buttati al macero, ma anche tutto il commercio di mascherine, che ha visto furbi e furbastri e meno furbi iscriversi alla gara dell’albero della cuccagna. Senza dimenticare pressioni politiche sulle case farmaceutiche per lucrare qualche tangente. Dati di fatto, innegabili, che affiorano dal pantano dell’illegalità. Tutto questo è vero, ma ridurre la pandemia del Covid a montatura affaristica è quanto di più lontano si possa immaginare dall’onestà di una corretta informazione. “Ogni inverno ci sono centinaia di migliaia di persone che muoiono a causa dell’influenza” diceva qualcuno che voleva fare il primo della classe. Il Covid, secondo questa logica, non era altro che una variante di una malattia da raffreddamento, soltanto più enfatizzata per crearci intorno l’affare. Sarebbe bastata qualche tachipirina, riposo in casa e qualche intruglio preparato da guaritori, in odore da santoni.
No. Il Covid è stata un’esperienza singolare e drammatica. Prima di tutto sanitaria. Ce lo ricorda il numero dei morti. Paesi dove la media dei funerali si aggirava intorno agli otto, dieci al mese, si ritrovarono a celebrarne trenta, quaranta. Nella bergamasca il vescovo dette ordine di non suonare più le campane a morto. Ormai i rintocchi si rincorrevano di valle in valle, senza soluzione di continuità. Le bare sui camion militari che lasciavano il cimitero per essere portate alla cremazione altrove, non essendovi più disponibilità di spazi in loco, rimangono una pagina di storia degna del racconto biblico di una piaga d’Egitto.
Ai colleghi che vorrebbero ridurre il Covid a una specie di ballo della tarantella suonato per le godurie della politica, sarebbe il caso di ricordare soprattutto che esso rappresentò uno straordinario e indimenticato spettacolo di ritrovata umanità. Chi oggi cerca di mettere alla sbarra i medici, colpevolizzandoli non si sa di che cosa, andrebbero fatte rivedere le immagini di quello che fecero in quei giorni, pagando spesso con il prezzo altissimo della loro vita, dentro le corsie degli ospedali dove prestavano servizio. Abbiamo ancora negli occhi le immagini di infermieri addormentati su un cuscino posato sul tavolo, solo per prendere fiato dentro un servizio che a volte si prolungava per diciotto, venti ore, mentre le mascherine calate sempre sul viso lasciavano tracce di infiammazioni e reazioni cutanee. Molti di noi hanno conosciuto la disperazione per giovani parenti, finiti dentro il casco ad ossigeno che li teneva in vita, mentre medici, dal cuore smisurato, telefonavano ogni sei ore per dare speranza e informare le famiglie.
Tutti noi abbiamo visto gli alpini mettere in piedi, in una sola settimana, un ospedale da campo, per migliaia di pazienti, una realtà da far invidia agli ospedali pubblici. Si gridò al miracolo. E non era un modo di dire. Il Covid fu tante cose, ma prima di tutto fu un’occasione per testimoniare che la solidarietà umana era una moneta ancora in circolazione. Fu anche altro e fu anche qualche abuso, ma ridurlo a invenzione da parte di negazionisti buontemponi è offesa alla verità e ideologia prezzolata.