Il Signore sostiene la mia vita
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 22 settembre 2024
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà ». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
A cura di Nicola Marino, Commissione diocesana per la pastorale sociale
Lectio
Gesù ci riprova. Dopo aver già tentato di spiegare ai discepoli cosa gli succederà, in questo passo Marco riporta il secondo insegnamento della Passione. Anche questa volta però, i dodici non comprendono (o non vogliono?) la portata degli argomenti di Gesù, e nemmeno trovano il coraggio di interrogarlo. Le loro discussioni sono di tutt’altro tenore: riguardano chi tra loro sia il più grande (ovvero chi potrà subentrare a Gesù, adesso che dice che verrà eliminato). Saputolo, Gesù spiega che chi vuole essere il primo deve mettersi al servizio degli altri. E per fare capire meglio il concetto, pone in mezzo a loro un bambino, e dice loro che chi accoglie uno solo di questi, accoglie il Cristo in persona, e con Lui il Padre.
Meditatio
Il racconto fa intuire tanti sentimenti umani. Quelli che Gesù prova, nell’imminenza della Passione: il bisogno di confidarsi, forse anche per farsi forza insieme ai suoi amici; ma anche di fare capire il significato di quello che succederà: la Sua Pasqua. E immaginiamo per contro anche la sua amarezza, forse la rabbia, nel sentirsi ancora una volta incompreso e, forse, nemmeno ascoltato, tanta è la distanza tra i suoi temi e quelli di cui preferiscono discutere i discepoli.
Ci sono poi i sentimenti dei discepoli: prima confusi da Gesù, tanto incapaci di entrare in argomento che non trovano nemmeno il coraggio di fare domande. Poi quel silenzio, carico di vergogna, quando il Cristo sembra “sgamarli” in un dibattito davvero poco edificante, sul loro presunto potere; un tema lontanissimo dagli insegnamenti fino ad allora ascoltati dal loro Maestro. C’è infine un bambino, coinvolto da Gesù e poi coccolato: posto al centro dell’attenzione di tutti, chissà cosa avrà provato!
In questo quadro, grazie a questa girandola di sentimenti, l’evangelista riesce in poche righe a farci comprendere cos’è il potere nella testa degli uomini e, specularmente, cosa invece Gesù vuole che sia. Se per i discepoli, immersi nella concezione “umana” che tutti abbiamo, il potere è primeggiare, autorità e prestigio, per il Cristo il potere è solo un mezzo per servire gli altri.
La figura del bambino spiega tutto: gestire il potere richiede il coraggio del dono. Niente costrutti mentali, competitività, ansia di primeggiare. Solo la voglia di fare stare meglio gli altri, coloro che mi sono stati affidati, l’attività di cui sono responsabile. Esigente come perdere tempo con le persone insignificanti (il bambino all’epoca).
Oratio
Un esame di coscienza: interroghiamoci allora sul nostro rapporto con gli altri, e quindi sul nostro modo di intendere il potere. In questo siamo adulti o infantili? Siamo incrostati dentro un’idea di realizzazione personale che ci porta a fare confronti, giudicare, volersi affermare, oppure riusciamo ancora a vedere gli altri con semplicità, per quello che sono, per i bisogni che portano, e quindi a dare loro spazio?
Riusciamo a dare al potere una connotazione diversa da quella a cui siamo abituati da millenni e che a noi, malgrado essere discepoli, sembra naturale? Riusciamo ad affermare, davvero, un’idea del potere come servizio?
Stiamo provando a vivere le responsabilità che la vita ci assegna, in una dimensione spirituale?
Contemplatio
La figura di Santa Teresa d Calcutta, una gigante della carità dei nostri tempi, con la sua espressione che siamo “la matita nelle mani di Dio”, ha ben riassunto l’idea di uomo (e di potere) che il Vangelo ci trasmette: persone docili, semplici, al servizio della chiamata di Dio e dei bisogni dei fratelli e sorelle. Come bambini ci lasciamo abbracciare e accompagnare?
Fractio
Il focus di questo brano mi pare stia tutto nella frase: “Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti”. Qui è riassunto tutto l’insegnamento evangelico su come vivere i rapporti con gli altri e come costruire una società davvero cristiana, cioè accogliente ogni persona.
L’opera d’arte
Artemisia Gentileschi, Lasciate che i pargoli vengano a me (Sinite parvulos), (1629-30), Roma, Arciconfraternita dei Santi Ambrogio e Carlo. L’opera, pur ispirandosi al Vangelo di Matteo, si può adattare alle parole finali del Vangelo di Marco di questa domenica. Dopo un restauro in cui è riemersa la firma dell’autrice, la tela è stata attribuita ad Artemisia Gentileschi, figlia del celebre pittore Orazio, che fu vicino a Caravaggio. Figura ispirata a modelli classicisti, Gesù si staglia su di uno sfondo costituito in parte da un muro e in parte da un cielo sereno.
Secondo l’iconografia tradizionale, il manto blu indica la natura divina di Cristo, la veste violacea ne evoca la passione. Davanti a lui due bambini: uno abbraccia con fare da monello l’altro in primo piano, sulla cui testa Gesù appoggia con affetto paterno la mano destra, mentre con la sinistra indica verso l’alto, come a rivolgersi all’osservatore: “se non diventerete come bambini, non entrerete nel regno dei cieli”. Dell’impeto drammatico di tante opere di Artemisia, quasi a riflettere la sua travagliata vita – su cui tanto si è scritto – qui non c’è traccia, anzi la scena si presenta all’insegna di una avvolgente serenità.