La speranza aiuta il distacco
Etica della vita, una rubrica di Gabriele Semprebon
Per chi accompagna un ammalato grave, il momento del distacco è sempre drammatico. Come fare per prepararsi meglio? Occorre affidarci alla speranza, che non è solo virtù cristiana ma anche umana. Come si deve costruire questa speranza “umana” che aiuterà a elaborare le fasi finali della relazione con il malato? Anzitutto la speranza deve essere sempre coniugata alla verità. Spesso chi sta vicino al malato pensa che questi non potrà sopportare la dura verità che lo interessa, allora, si tace e si raccontano bugie ma, facendo in questo modo, non ci si rende conto che, in realtà, l’ammalato ha intuito o sa già benissimo qual è la sua sorte e questo peso lo deve portare da solo perché dall’altra parte c’è un silenzio omertoso.
La speranza non deve mai essere illusione. Molto spesso chi è vicino al malato terminale vuole alleggerire il peso della condizione e sposta l’interesse dicendo frasi del tipo: “vedrai che ti passa presto” etc. Questo modo di agire, seppur nelle migliori intenzioni, crea un contesto illusorio e molto spesso l’ammalato non ci casca. Quello che desidera è tempo per elaborare la sua situazione e noi glielo dobbiamo dare. Chi sta accanto al malato, allora, non deve spostare l’attenzione introducendo altri elementi, una falsa rassicurazione, ma, deve stare lì e aiutare l’ammalato a elaborare quello che sta vivendo. Bisogna imparare a cercare la qualità del tempo non la quantità. Se noi diamo delle illusioni cerchiamo la quantità del tempo mentre se noi stiamo vicino all’ammalato, con tutto il peso che comporta, cercando la qualità del tempo, ovvero, il senso di ciò che si sta vivendo, allora questo preparerà l’evento finale della vita, sia per l’ammalato che per chi gli sta accanto.
La terapia riguarda l’ammalato mentre la cura riguarda il malato e i familiari; se tutti gli attori della situazione drammatica partecipano alla vita dell’ammalato, allora questa diventa una vita piena, elaborata, reale, senza illusioni, vivendo giorno per giorno il momento presente, facendo attenzione alle preferenze del malato. Tutto questo toglie gli scrupoli e aiuta ad elaborare quel momento così profondo. Concludo con una frase scritta da Marie de Hennezel, psicologa, che ha speso una vita per i malati terminali: Il tempo che precede la morte possa anche essere utile al compiersi di una persona, a una trasformazione di chi le sta accanto… quando non si può più fare nulla, tuttavia si può ancora amare e sentirsi amati.