Una grande democrazia in crisi che non ha giovani candidati ma demonizza quelli anziani
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Ho fatto un sogno. Vero, verissimo, lo giuro. Parlavo in perfetto inglese, che in realtà parlicchio (però con accento british, non americano, quello per capirsi che pronuncia la “t” come quando si sputano i semi dell’anguria) e dicevo a Joe Biden di ritirarsi dalla corsa per la Casa Bianca. Non perché vecchio. Ho tre fratelli più grandi di lui, con la testa fresca e un fisico invidiabile. Gli parlavo prima che un pazzo armato, uno di quegli americani che Trump vorrebbe armare perché così l’America sarebbe più sicura, avesse fatto di lui un martire, rendendogli ancora più spianata la strada verso la Casa Bianca. Un attentato che oggi mette sotto il mantello della compassione il tanto marcio di un progetto politico, che rende Trump una delle figure più losche in circolazione. Ora la sua campagna elettorale avrà un asso in più nella manica, quello della testa insanguinata, che ha preso il posto di testa di pannocchia, capace di distogliere dalle tante menzogne dei suoi proclami, dalla mancanza di umanità verso donne, handicappati, stranieri e avversari in generale. Una visione della politica sempre in bilico sulla corda dell’illegalità e del penale. E ti domandi se la maggioranza degli elettori che lo votano siano le vittime di un moderno pifferaio di Hamelin o non piuttosto il sintomo di una società che sta buttando in vacca tutte le premesse morali e giuridiche che avevano reso grande la democrazia targata USA.
Ma torniamo al sogno. Dicevo a Biden di ritirarsi per un motivo molto semplice. Anzi due. Il primo perché l’uomo mi fa un po’ pena. Gli acciacchi dell’anagrafe sono evidenti. Alcuni si mimetizzano meglio, altri meno. E non è soltanto questione di confondere i nomi. Scambiare Zelenskj con Putin, ossia la vittima con il carnefice, non è neppure il più grave, pensando che, dalle nostre parti, è un errore che fanno anche alcuni politici nostrani con meno anni dei suoi, per pura strategia elettoralistica, quando strizzano l’occhio al dittatore russo. Biden, uomo dal passato politico finissimo che ha gestito il suo primo mandato molto meglio di altri che l’hanno preceduto, mi fa pena soprattutto per l’evidente ipocrisia sociale di cui è vittima. Si sono accorti adesso che ha 81 anni? E si sono accorti solo ora dei ritmi rallentati di cui sembra soffrire? Solo ora, a poco più di tre mesi dalle elezioni, ci si accorge che non è più l’“oggetto” utile su cui investire, dando il via al fuoco amico? È chiaro che Biden perderà il confronto con Trump. Lo perderà perché la cultura mediatica pretende duelli mediatici, per decretare il morto. Chiede il fascino della mimica, del non detto, dell’elasticità dei muscoli facciali come pegno per avere la fiducia degli elettori… Nel sogno ho detto a Biden di uscire di scena, per protesta contro una società ipocrita che lo ha trasformato in icona perdente senza alcun sussulto di misericordia e accenno di solidarietà. Un abbandono che sembra pescare nelle pagine di Cormac Mc Carthy quando scrive “Non è un paese per vecchi”.
Non so come andrà a finire esattamente. Ma so per certo che la sua ricaduta mediatica e culturale andrà ben oltre i confini degli Stati Uniti. Non solo per i differenti esiti politici derivanti da chi andrà alla Casa Bianca. Soprattutto per il diffondersi di quella cultura dell’efficientismo tendente a dar credito alle persone, soltanto nella misura della loro immagine vincente e fintanto che dura questa immagine. Cultura non propriamente favorevole a quella stagione della vita che va sotto i nomi di anzianità e vecchiaia. E mentre tra i giovani non si trovano teste su cui investire, si mandano avanti i vecchi, ma solo in attesa dei cecchini, non appena deludono le aspettative per cui li hanno momentaneamente usati.