Commozione e gratitudine ai funerali di Sergio Pettenati
"Una fede seria, profonda e coltivata la sua, bene espressa da quello che era il suo ‘motto’, ossia ‘Sursum Corda’"
La sua amata moglie Enrica, i figli, le nuore, i nipoti, i parenti, gli scout, i “fratelli” della comunità neocatecumenale, i parrocchiani, gli amici, i dipendenti della Centauro. C’era proprio tutto il suo “mondo” oggi pomeriggio in Cattedrale a Carpi, per rendergli l’ultimo saluto. Sergio Pettenati, scomparso lunedì a 80 anni, lascia a coloro che lo hanno conosciuto e amato una grande eredità di amore per il prossimo e per il Signore. Un seme che ha saputo germogliare e dare i suoi frutti, come ha dimostrato la partecipazione viva e sentita delle centinaia di persone presenti in Duomo per le esequie funebri. Don Massimo Dotti, che ha concelebrato con il vicario generale, monsignor Gildo Manicardi, e con don Antonio Dotti, don Andrea Zuarri e don Tinu Jacob Thommassery, nell’omelia ha ricordato Sergio come “un uomo di grande speranza ma al tempo stesso di grande certezza, sempre alla ricerca ma consapevole della bellezza delle sicurezze trovate, come quella di essere figli di Dio e di essere da Lui amati”. “Una fede seria, profonda e coltivata quella di Sergio – ha proseguito don Massimo – bene espressa da quello che era il suo ‘motto’, ossia ‘Sursum Corda’, ‘In alto i cuori’, per comunicare forza, coraggio e incoraggiamento a chiunque trovava sul suo cammino e che aiutava con una generosità silenziosa. Lui che era capace di un amore ‘esigente’, ma sempre accogliente e tollerante”. Don Massimo ha poi ricordato un aneddoto personale: “Quando Sergio accompagnava i nipoti all’oratorio Eden, mi capitava spesso di trovarlo a pregare nella cappellina. Tra le tante domande che mi faceva, una in particolare gli stava a cuore, ossia voleva sapere se la cappella, quale luogo di incontro e comunione, venisse usato, perché gli piaceva sapere che quello spazio dedicato al Signore fosse frequentato”. Alternandosi sull’altare, i figli Emanuele, Matteo e Paolo, e i nipoti hanno tratteggiato l’immagine di un padre e di un nonno “saggio, ironico, sempre disponibile e al tempo stesso riservato”, che “ci lascia un’importante eredità spirituale che ora tocca a noi portare avanti, consapevoli tuttavia del non essere soli. Gli ultimi tempi di incertezza sono stati per noi una prova costante, nella quale abbiamo però percepito la vicinanza della preghiera e della comunità tutta che oggi è qui per ricordarlo. Papà – hanno affermato i figli – ‘inseriva’ Dio in ogni discorso ed era incapace di dire di no: la sua ‘porta’ era aperta per tutti. Ha reso il mondo migliore”. Con estrema tenerezza uno dei nipoti ha ricordato l’immagine del nonno con il quale “era bello passare i pomeriggi a raccontarsi, mentre giravamo in macchina: io gli spiegavo quello che avrei voluto fare da grande e lui mi raccontava le sue esperienze. Avrei ora un desiderio: ‘Andiamo a prendere un ultimo gelato insieme nonno?’”. Quattro gli oggetti simbolici posti sulla bara: i tre fazzolettoni degli Scout (che aveva contribuito a fondare nel Duomo, nel 1956, sotto la guida di don Nino Levratti) e del Masci; il suo cappello d’alpino, il breviario che usava per i momenti di preghiera in famiglia e una palma, come simbolo del Signore. L’ultimo intervento, il più difficile, è stato quello della moglie Enrica: “Abbiamo vissuto insieme 60 anni e Sergio mi manca già. Ci sono stati momenti di gioia ma anche di sconforto, ma li abbiamo sempre superati con la presenza del Signore che ci ha saputo illuminare”. “Spesso, girando per casa, mi diceva: ‘Il Signore ci vuole bene’. Ora tocca a me fare riecheggiare nelle stanze queste sue parole di amore, con l’auspicio che nel cuore di tutti noi che siamo qui per lui resti il suo insegnamento e la sua testimonianza”. E infine, l’ultimo saluto, sulle note della canzone “Madonna degli Scout”.
Maria Silvia Cabri