Combattere la droga domanda prima di tutto di risvegliare la fede
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
«Gli spacciatori e i trafficanti di droga sono degli assassini». Parole durissime quelle di papa Francesco, pronunciate la scorsa settimana in occasione della Giornata Mondiale contro la droga. Sembrava di sentire l’eco dell’anatema che, nella Valle dei Templi di Agrigento il 9 maggio del 1993, san Giovanni Paolo pronunciava contro gli “uomini di mafia”, con una denuncia netta e radicale come non era mai accaduto in precedenza. Parole dal tono ultimativo: «Una volta Dio ha detto: “Non uccidere”. Nessun uomo, nessuna associazione umana, nessuna mafia può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio… Nel nome di Cristo crocifisso e risorto… mi rivolgo ai responsabili: convertitevi. Un giorno arriverà il giudizio di Dio».
Parole durissime, come quelle dell’attuale papa, che hanno intercettato i dati forniti dall’onorevole Alfredo Mantovano, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, riferiti in modo particolare all’uso di droghe da parte degli adolescenti. Un numero in crescita spaventosa al quale non sembra fare fronte un’adeguata coscienza da parte degli adulti sull’entità e gravità del problema. Sono quasi un milione i ragazzi tra i 15 e i 19 anni che ne fanno uso. Tra gli studenti, sono 630 mila quelli che sono stati iniziati quest’anno per la prima volta. E se a far paura sono ancora eroina, cocaina, cannabis e crack (la pasta base della coca che si fuma), il terrore viene dalle nuove sostanze chimiche, prima fra tutte il Fentanyl, la droga degli zombi, capace di ridurre un ragazzo allo stato vegetativo, nel giro di un attimo. A questo punto, mi metto nei panni di un genitore che consegna il proprio figlio alla società, senza sapere con quali demoni dentro la coscienza potrà tornare a casa di lì a poco.
Se questi dati ci angosciano, i fatti li superano di gran lunga. Penso a Pescara dove due ragazzi sedicenni hanno ammazzato un loro coetaneo, Thomas detto Crox, per un debito di droga di 200 Euro. Venticinque fendenti piantati nella carne, mentre invitavano il moribondo rantolante a tacere, sputandogli addosso con disprezzo. Poi, un rapido cambio dei vestiti intrisi di sangue, un bagno al mare in compagnia, come se tutto fosse la cosa più normale di questo mondo.
Se la fragilità di Thomas poteva trovare qualche attenuante nella sua triste storia di bambino abbandonato dai genitori all’età di tre anni (vaglielo a spiegare ai santoni dell’affettività fluida quanto è importante la famiglia!), più difficile trovare le radici del male nei due assassini, definiti dai media “figli di famiglie bene”, come a dire che il disagio dovrebbe fiorire soltanto là dove ci sono famiglie sgangherate. Oggi non è più così ed è necessario andare a cercare le cause non soltanto nella fragilità delle famiglie o nel potere devastante di un uso incontrollato dei social. Cause tutte vere ma che, da sole, non bastano a raccontare la verità di un fenomeno. È la morte di Dio che segna la morte delle creature, il loro sprofondare nel fetore della miseria umana. Lo dicevano gli antichi: se cade Dio, cade anche l’uomo, la sua dignità, il senso morale, l’amore per gli altri, la compassione. Gesù ha detto che la casa sulla sabbia è destinata a crollare e questo vale a doppia ragione per una società. È la storia che ce lo insegna. E questo è accaduto ogni volta che la dissoluzione dei valori e l’anarchia dei costumi ha generato un individualismo esasperato e senza anima. Anche gli imperi più forti crollano, quando Dio sparisce dall’orizzonte. Capirlo è sempre troppo tardi.