Ecco dove investire come Chiesa in Italia
Articolo tratto dal mensile Vita Pastorale
di Francesco Occhetta
La 50a edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani – intitolata: “Al cuore della democrazia” –, è destinata ad accelerare alcune risposte sul rapporto tra la fede e la politica dei cattolici in Italia. Intorno a quali programmi e a quali riforme convergere se l’appartenenza politica rimane diversa? In quali luoghi è possibile riconoscere un’identità comune almeno prepartitica? E infine: su quali fondamenti antropologici occorre basare una proposta politica? In molti si aspettano risposte concrete dall’appuntamento di Trieste dal 3 al 7 luglio.
A incidere sull’eclisse dell’identità politica, che ha contribuito a scrivere la Costituzione, sono stati fattori come i nuovi linguaggi, la comunicazione in rete, la disintermediazione voluta dal populismo e il logos (il ragionamento) che ha dovuto cedere il passo al pathos e agli “emotivismi” che legittimano convinzioni particolari come verità assolute. In un appunto inedito degli anni ’30, il giovane Montini aveva previsto il pericolo del fascismo, proponendo ai popoli di investire sulla giustizia, prima di parlare di libertà o di forza. Quelli che lo ascoltarono durante la Seconda guerra mondiale prepararono il domani, quelli invece che lo sottovalutarono appoggiarono il fascismo come la soluzione più vantaggiosa anche per la Chiesa.
Quella storia insegna che la politica per i cattolici non è né una somma di princìpi, né una forma di governo, ma è premessa e condizione per l’agire politico. È saper percorrere insieme e con prudenza cammini differenti e avere come criterio di decisione sempre gli ultimi e un quadro di valore che garantisca lo sviluppo della dignità della persona. Ecco da dove iniziano le risposte ai temi che trattano il rispetto della vita umana, il rifiuto della guerra e la costruzione di percorsi di pacificazione, lo sviluppo umano integrale, la giustizia intesa come riparazione, l’uguaglianza sociale. Così si attraversano le nuove e urgenti frontiere della biopolitica e del rapporto tra l’umano e l’IA. Certo il rischio è quello di trasformarsi in una perenne minoranza. E in democrazia sono i numeri che fanno la somma. Ma davvero occorre ridursi a somme svuotate di pensiero?
È per questo che dall’esperienza di Trieste è importante che emergano tre orientamenti: 1) dove e come proporre una formazione basata su spiritualità, spazi relazionali e la capacità di discernere insieme le soluzioni ai temi politici del momento; 2) capire come connettere competenze, mondi generativi e l’esperienza di molti amministratori locali virtuosi ma soli; 3) come rielaborare, all’interno di un mondo cattolico distratto o diviso sulla questione sociale, le due categorie del pontificato di Francesco su cui ripensare un sistema democratico: l’ecologia integrale e il principio di fraternità. Da questo orizzonte spirituale e antropologico nasce sia un nuovo modo di stare insieme nello spazio pubblico sia un nuovo modello da cui far nascere una nuova classe dirigente e promuovere nuove riforme. Si tratta di un cammino esigente. Molto dipenderà se il valore generato a Trieste si limiterà a un evento oppure a un processo condiviso che includa le esperienze di Chiesa che non siano solo legate alle diocesi.
Oggi l’irrilevanza politico-partitica non sarebbe tanto grave quanto un’irrilevanza d’opinione, coordinamento e idee. È su questi aspetti che occorre investire come Chiesa in Italia. La rete di movimenti e parrocchie è ancora ampia e attiva nel Paese. Occorre, però, che un “gruppo di saggi” fungano da enzimi per convocare e orientare le forze disponibili. Sarebbe una grave perdita culturale per il Paese esaurire l’esperienza di tanti cattolici che hanno contribuito a scrivere la Costituzione e a sostenere la democrazia.