Allenare i figli alla vita
Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva: servono genitori “competenti” e relazioni “reali” con i coetanei
di Giovanna Pasqualin Traversa
“Per un buon allenamento alla vita servono un buon campo di gioco, buoni compagni di squadra e buoni allenatori. Quindi la domanda è: dove, con chi e da chi facciamo allenare i nostri bambini?”. A porre l’interrogativo è Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta ed esperto in educazione alla salute e prevenzione in età evolutiva, autore del volume “Allenare alla vita. I dieci principi per ritornare ad essere genitori autorevoli” (Mondadori). L’esperto è intervenuto il 18 maggio al convegno “Prima i bambini: ieri, oggi, domani”, promosso a Roma dalla Fism (Federazione italiana scuole materne) in occasione del suo 50° di fondazione. Molti gli spunti emersi dall’incontro.
Superare le tempeste.
Anzitutto una premessa: “La felicità dei nostri figli non si realizza proteggendoli da ostacoli e frustrazioni”; occorre piuttosto “dare loro strumenti per attraversare (e superare) le tempeste della vita e diventare adulti responsabili e consapevoli di sé”. Ma questo richiede genitori “competenti”, ossia “buoni allenatori”. Che significa? “Si tratta di ripristinare l’autorevolezza educativa e affettiva degli adulti – risponde Pellai -, ossia la capacità di essere connessi con i propri figli e, al tempo stesso, di fissare limiti e paletti”.
Percorsi, non traguardi. E poi non bisogna fossilizzarsi sul “falso mito” del traguardo, ma prestare attenzione al percorso, diverso per ogni bambino. “Tutto è stato accelerato: riempiendo i nostri figli di impegni abbiamo tolto a bambini e bambine la possibilità di abitare la loro fase di sviluppo facendo le cose che è giusto fare a quell’età”. Con l’aggravante che spesso “devono tenere in piedi il progetto di vita di adulti che li vogliono perfetti e iper performanti”. No al “ciuccio elettronico”.
Lo schermo dello smartphone o del tablet prende il posto del ciuccio di quando era un lattante: “una sorta di ciuccio elettronico che al bambino non serve a nulla in termini di sviluppo di competenze per affrontare la vita, ma che consente all’adulto di non essere disturbato”. Un mondo adulto diviso in due grandi sottogruppi: “il mondo dell’educazione che nel bambino vede un essere in formazione; e il mercato che in lui scorge invece un potenziale consumatore, e al quale non importa nulla del suo potenziale e del suo percorso di crescita”.
A scuola di relazioni.
Oggi, ribadisce lo psicoterapeuta, “occorre riportare dentro le città spazi per i bambini e le bambine – il buon campo di gioco di cui parlavamo – e far sì che anziché con i videogame giochino tra loro – i compagni di squadra -. Solo così possono imparare l’empatia, la gestione delle relazioni reali – compreso il conflitto e la successiva riconciliazione e la condivisione dei beni (i giocattoli)”. Un apprendistato che va iniziato in tenera età, per evitare che “magari a 14 anni rischino di trovarsi in difficoltà a stare nella vita reale e possano decidere di uscire fuori dal mondo scegliendo il ritiro sociale”.
No smartphone prima dei 14 anni. Infine una provocazione e una proposta: “Abolirei tutte le chat WhatsApp dei genitori, ma vorrei si incontrassero fisicamente un’ora a settimana all’interno della classe per parlare dei propri figli”. E poi il divieto dello smartphone prima dei 14 anni: “Molti dei nostri figli soffrono di deprivazione di sonno e di rapporti sociali; di deficit di attenzione e di dipendenza dal loro device. Credo che la sanità pubblica ci stia arrivando”.
Articolo integrale su www.agensir.it