Sul tema dell’aborto non si tiri in ballo il fascismo solo per fare opposizione
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Mi sono rotto la pazienza. Non so se si dica proprio così, ma è così. Me la sono rotta a forza di sentire parlare di fascismo, di fascisti, di antifascisti, di squadristi… Ormai è un lavaggio del cervello quotidiano che, tra un po’, c’è da aspettarsi che arrivi il tormentone della Orietta Berti con il Fiorello di turno. Penso a mio padre, allo zio prete, arrestati e torturati, quelli sì dai fascisti veri, e penso si stiano rivoltando nella tomba nel vedere la banalizzazione che si fa di un periodo drammatico della storia italiana, a soli fini di propaganda di partito. Ormai risulta insopportabile sentirsi dire che stanno per finire le libertà, che stanno arrivando i manganellatori, proprio nel momento in cui al Parlamento europeo, a rappresentare gli antifascisti, ci vanno quelli che di manganelli se ne intendono per davvero.
Mi sono rotto degli scioperi del trasporto, fatti di sabato e di domenica, per creare il massimo del disagio. L’Italia vive di turismo, quello di casa e quello straniero, senza considerare i pendolari che si spostano per lavoro. Lascio a voi pensare cosa possa provare un turista straniero, alla stazione Termini, in coda per duecento metri, in attesa di un taxi che non arriva. O una famiglia diretta al mare con bambini, costretta a far venire a Bologna i parenti da Pesaro, a prelevarla in auto, perché i treni sono stati soppressi. Scioperi ripetuti con cadenza sospetta, fino a dubitare che dietro non sia estranea l’intenzione di logorare l’immagine di chi governa il Paese. Una figura di emme.
Mi sono rotto di sentire dire che chi non è favorevole all’aborto è fascista. Io non sono favorevole e non sono fascista. Non so se sia vero che all’ultimo G7 Macron si sia arrabbiato con la Meloni perché non si è fatto preciso riferimento al diritto all’aborto, come diritto costituzionale per gli Stati membri. In Francia l’hanno già fatto, quindi non riesco a capire tanta insistenza per esportare in casa d’altri le miserie di casa loro. Sta di fatto che non c’è dibattito, nei talk show di casa nostra, in cui non si denunci chi è contrario all’aborto, accusandolo di fascismo.
Pur considerando il dramma che l’aborto costituisce per molte donne, e ci tengo a precisare molte e non tutte, nessuno può pretendere che una libertà, per quanto legale, sia anche automaticamente morale. E tantomeno ritenere che le obiezioni su questo tema siano riconducibili a una cultura fascista. I cristiani hanno il dovere di rivendicare la loro libertà di pensiero e di coscienza, impedendo d’essere appiattiti strumentalmente su posizioni ideologiche dettate dai partiti. Sono sempre attuali le straordinarie parole che un anonimo estensore scriveva a Diogneto all’inizio del cristianesimo: «I cristiani vivono nella loro patria, ma come forestieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi».
A Elly Schlein che teme la fine delle libertà, vorrei ricordare due piccole cose. In primo luogo che la prima libertà è quella della coscienza, prima ancora di quella garantita dalle leggi, senza la quale la libertà è una farsa. In secondo luogo, ricordare che anche i cristiani credono nella laicità, non tanto quella che assicurano i partiti, quanto quella dei diritti di ogni essere umano, in forza della sua dignità, dignità che è tale fin dal concepimento e che non discende da alcuna legge.