Rendete grazie al Signore, il suo amore è per sempre
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 23 giugno 2024
Dal vangelo secondo Matteo
In quel giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
A cura di Chiara Arletti, Commissione catechesi e disabilità dell’Ufficio catechistico diocesano
Lectio
Nel Vangelo di Marco, Gesù e i suoi discepoli attraversano il Mare di Galilea quando una tempesta improvvisa li coglie di sorpresa. La barca è scossa dalle onde, e i discepoli, presi dal panico, svegliano Gesù che sta dormendo. Egli si alza, comanda al vento e al mare di calmarsi, e tutto torna sereno. Gesù poi chiede ai discepoli perché abbiano avuto paura e se non abbiano ancora fede. Infine, i discepoli si interrogano sulla vera identità di Gesù, meravigliati dal suo potere.
Meditatio
Questo episodio evangelico rappresenta un momento di crisi e paura superato grazie all’intervento divino. Le tempeste simboleggiano le difficoltà e le prove della vita, inclusi i momenti di sconforto e sofferenza che spesso accompagnano la vita di tutti noi e soprattutto quella di persone che hanno fragilità e disabilità. La domanda di Gesù “Perché avete paura? Non avete ancora fede?” sta a significare che la paura esiste, è possibile ed è naturale, per questo ci sfida a riflettere sulla nostra fiducia in Dio nei momenti di difficoltà. Per le persone con disabilità, la tempesta può rappresentare le barriere sociali e psicologiche, la distanza dalla propria comunità, la difficoltà di sentirsi accolti e compresi. Questa tempesta mette alla prova la fede ma soprattutto rischia di creare una distanza che può sembrare incolmabile. Tuttavia, il messaggio di Gesù è chiaro: anche nelle tempeste più violente, la Sua presenza offre sicurezza e speranza. Gesù dorme durante la tempesta, segno della Sua completa fiducia nel Padre, e si risveglia per calmare il mare, dimostrando che con Lui non c’è nulla da temere.
Oratio
Il Signore Gesù, nelle tempeste della nostra vita, ci aiuta a ricordare che lui è sempre con noi. A lui chiediamo di darci la forza di affrontare le nostre paure e la fede di credere nella Sua potenza e nel Suo amore. Dobbiamo fare in modo che la nostra fiducia in lui sia più grande delle nostre difficoltà. Lo ringraziamo perché lui è il nostro rifugio e la nostra pace.
Contemplatio
Prendiamoci un momento per immaginare di essere su quella barca, sentendo la tempesta attorno a noi e vedendo Gesù che calma il mare. Nelle tante tempeste che possono presentarsi nella vita lo Spirito di Gesù ci aiuta a sperimentare che, quando siamo forti abbiamo bisogno di chi è più debole per rivelare la nostra umanità e risvegliare quelle energie che si chiamano tenerezza e compassione, questo produce una profonda liberazione interiore, mentre quando siamo deboli abbiamo bisogno di chi è più forte per non sentirci soli, per non perdere la speranza e trovare la forza per non rimanere schiacciati. A volte le tempeste ci fanno sperimentare che nella trasformazione delle nostre fragilità risiede il segreto dell’autentica felicità perché nella fragilità le persone cercano aiuto, cercano dei legami per scambiare fragilità, e appoggiando una fragilità a un’altra si sostiene il mondo. Chi sceglie di negare la parte vulnerabile di sé si chiude nell’illusione della propria autosufficienza, rimarrà solo e deluso, senza aver mai potuto sperimentare la forza di un legame capace di dare coraggio anche nel dolore e nella morte. Forza e debolezza unite compiono miracoli, e la forza a volte sono i famigliari, una amicizia, un’associazione, qualunque persona, Dio si serve di tutti per mettersi al fianco di chi è nella prova e per ridare speranza a chi l’ha perduta.
Fractio
“Perché avete paura? Non avete ancora fede?”. Prendiamo un impegno concreto per mettere in pratica questa fiducia nella nostra vita quotidiana. Per coloro che vivono con una disabilità, può significare cercare attivamente modi per affrontare le sfide con fede, magari trovando supporto nella propria comunità, e nell’appoggio che può offrire. Per la comunità parrocchiale invece può significare offrire più sostegno, comprensione e accoglienza, accettando la sfida di creare un ambiente aperto a tutti, un ambiente che parli linguaggi diversi, un ambiente capace di adattarsi alle differenze, ricordando sempre la presenza rassicurante di Cristo che ci invita a non avere paura.
L’opera d’arte
Rembrandt, Cristo nella tempesta sul mare di Galilea (1633), Boston (Usa), Isabella Stewart Gardner Museum. Questa preziosa tela è stata purtroppo rubata, insieme ad altri pezzi, nel 1990 dal museo che la conservava. Il dipinto raffigura il miracolo di Gesù che calma le acque durante una tempesta nel mare di Galilea secondo la descrizione del Vangelo di Marco. La scena, realizzata con vigorose pennellate, mette a confronto la forza della natura con la fragilità umana, sia fisica che spirituale. I discepoli, in preda al panico, lottano contro una tempesta improvvisa rischiando di finire sugli scogli in primo piano. Uno di loro, in preda al malessere, vomita sporgendosi dal fianco della barca. In mezzo a questo caos, solamente Cristo, in basso a destra, rimane calmo, quasi come fosse lui l’occhio della tempesta. Si tratta dell’unico paesaggio marino dipinto da Rembrandt: le reazioni di terrore dei discepoli, tutte minuziosamente descritte, generano un forte coinvolgimento empatico. Solo una figura, probabilmente un autoritratto dello stesso Rembrandt, guarda direttamente verso l’osservatore rendendolo, se possibile, ancora più partecipe dell’azione drammatica.
V.P.