Intervista a Chiara Adamuccio
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale
La protagonista dell’intervista di questo nuovo appuntamento di CulturalMente è Chiara Adamuccio, giovane autrice de “La mia vita tutta d’un fato”. Nel libro edito da Aporema Edizioni Adamuccio, che sui social è seguitissima e che destinerà i suoi ricavi all’ospedale Gaslini, si racconta parlando anche del condrosarcoma, la malattia contro cui ha combattuto.
Sui social sei seguita da centinaia di migliaia di persone, molti giovani. Senza foto ritoccate e false verità racconti la realtà della tua vita. Questo libro è un modo per dire alle nuove generazioni che la vita non è fatta solo di momenti felici?
Sui social, purtroppo, la maggior parte delle volte ci si concentra solo a postare i momenti più felici, dimenticando il dolore. Esternamente così può sembrare che tutti abbiamo una vita perfetta, ma in realtà non lo è per nessuno. Credo che bisogna vivere, non solo i momenti più belli, ma anche quelli più brutti; perché è proprio da questi momenti che una persona cresce e diventa migliore. Non ho mai accettato il fatto di dover solo raccontare la parte più bella, ma mi piace raccontare anche la parte più difficile e raccoglierne i benefici, anche solo per far capire che non si è da soli, perché alla fine dietro lo smartphone tutti abbiamo le nostre difficoltà. Come viene detto nel film “Collateral Beauty”: “la cosa più importante è cogliere la bellezza collaterale che è il legame profondo con tutte le cose”. Per bellezza collaterale intendo un sorriso nel dolore, ovvero il modo di trovare il bello nella sofferenza. Non si tratta di bellezza creata, piuttosto di bellezza arrivata così per caso nel contesto della sofferenza. Potendo dire di aver trovato la mia bellezza collaterale al Gaslini con gli amici che ho incontrato.
La prima parte della tua vita, prima della malattia, è stata, felice, poi è arrivato il condrosarcoma, un qualcosa di sconvolgente contro cui combattere. Cosa ti ha spinto a non gettare la spugna?
Sono sempre stata una persona molto testarda e determinata, ma ammetto di aver avuto momenti in cui non ce la facevo più. Nonostante questo, nonostante la sofferenza e la dura lotta contro il dolore e la pazienza che viene meno, ho continuato a spingere per resistere. Questo, però, lo devo anche e soprattutto a quelle persone che mi hanno sostenuto e mi hanno dato la forza in quei momenti di paura e dolore, permettendomi di non perdere mai le speranze. Aggiungo anche la mia grande motivazione per raggiungere i miei sogni e i miei obiettivi. Una resa dei conti sarebbe: l’amore, l’amicizia e i sogni, armi più potenti del male.
Nelle persone che ti sono state accanto cosa leggevi nei loro occhi?
In momenti come questi capisci chi davvero ti vuole bene e non vuole perderti. Di quanto loro ci tengano che tu possa vivere serena e divertendoti. Sentivo come se avessero davvero voluto aiutarmi in qualsiasi modo pur di farmi sentire bene. Per non parlare degli occhi dei componenti della mia famiglia, nei quali si leggeva quanto potesse effettivamente pesare la mia assenza, il fatto che avrebbero dato loro stessi per me. Infine, gli occhi di chi ti capisce senza dire una parola, come tutte quelle persone che sono state vicine di stanza in ospedale, le emozioni più forti si provano cullandosi delicatamente sulle spalle di chi sta passando il tuo stesso male, perché sai che non dipende nient’altro che da un genuino sentimento di prossimità.
Cosa vorresti dire a chi sta affrontando una malattia come quella che hai affrontato tu?
Soffrire fa parte del percorso, ma non bisogna mai perdere la speranza. Questo non vuol dire non buttarsi giù, anzi, fatelo, buttatevi giù di morale se ne avete bisogno, ma ricordandosi che ogni giorno va vissuto a pieno, nel bene e nel male, perché come fa riferimento la scrittrice J.K. Rowling in Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, “La felicità si può trovare anche negli attimi più tenebrosi, se solo qualcuno si ricorda di accendere la luce”.