Intervista ad Alberto Pellai
CulturalMente, una rubrica di Francesco Natale
Abbiamo incontrato Alberto Pellai, medico, psicoterapeuta e ricercatore presso il dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli Studi di Milano, al Bologna Children’s Book Fair, la fiera internazionale del libro per bambini e ragazzi che si svolge ogni anno nel capoluogo emiliano-romagnolo. Pellai, all’incontro in Sala Melodia, organizzato da Salani, non è solo. Accanto a lui c’è la moglie Barbara Tamborini, psicopedagogista e scrittrice che, assieme al marito, ha pubblicato, tra gli altri, il volume best seller “L’età dello tsunami” (DeAgostini, 2017). Il tema dell’incontro cui assistiamo è incentrato sul nuovo romanzo della coppia: “Il lato più bello” (Salani, 2024). La storia narrata ha come protagonista Viola, una ragazza preadolescente, vittima di velenose battute in classe, con qualche chilo di troppo e il sogno di diventare videomaker e, per scelta dei genitori, senza il cellulare in tasca.
Ha scritto “Il lato più bello” assieme a sua moglie, Barbara Tamborini, e già in passato avevate realizzato testi a quattro mani. Com’è scrivere un libro con una persona che si conosce così tanto bene? Più facile?
In realtà è due volte più difficile perché quando raccontiamo storie occorre generare delle creatività che poi si fondono. Abbiamo visioni diverse su cosa deve succedere ai personaggi, su come si devono gestire le loro storie e le loro vicende. È molto più impegnativo, ma il risultato finale è decisamente più soddisfacente perché ha dentro una creatività che è molto più amplificata rispetto a quella dei singoli autori, ma allo stesso tempo è una creatività che ha un po’ ottimizzato le visioni, quindi permette di dare più profondità e spessore ai personaggi.
Viola, la protagonista del romanzo, non ha il cellulare. È un elemento che l’aiuta?
In questa storia abbiamo voluto metterlo come un tratto caratteristico, per far vedere, intanto, che è possibile essere preadolescente e non avere in mano lo smartphone. Inoltre, ciò ci fa vedere anche tutta una serie di competenze dentro la vita reale della ragazza che probabilmente non sarebbero così presenti e così intense se lei fosse già entrata nel mondo dei social e avesse da gestire oltre a una vita reale anche una vita virtuale.
Si parla molto di bullismo. Cosa può fare la scuola per i ragazzi sotto questo aspetto?
La scuola può identificarsi come un luogo di allenamento alla vita e gestire un triangolo pedagogico che non è fatto solo di sapere e saper fare, ma anche di saper essere. Questo lo sta già facendo: promuove da una parte programmi di educazione emotiva, di educazione alle life skills e, dall’altra parte considera il bullismo come un tema che viene portato anche al gruppo classe. La lettura di un romanzo, la visione di film, l’approfondimento su situazioni che sono realmente accadute all’interno della scuola, l’uso del circle time come tecnica di condivisione su aspetti sfidanti della vita dei ragazzi e delle ragazze, sono tutte strategie possibili e messe in atto in molti ambiti scolastici.
Qual è il lato più bello della vita?
Ognuno ha il suo. Per me certamente è questo lavoro costante che mi permette di incontrare e di raccogliere storie di tantissima gente diversa che è poi anche quella che entra nella mia vita grazie alla mia professione.