Un Oasi di Pace, Neve Shalom Wahat al-Salam
Neve Shalom Wahat al-Salam: un villaggio cooperativo nel quale vivono insieme ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana. Ne parla Brunetto Salvarani, presidente dell’Associazione Italiana Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam
Neve Shalom Wahat al-Salam (NSWAS) è un villaggio cooperativo nel quale vivono insieme ebrei e palestinesi, tutti di cittadinanza israeliana. Equidistante da Gerusalemme e da Tel Aviv Neve Shalom Wahat al-Salam nacque nel 1972 su un terreno preso in affitto dal vicino monastero di Latrun. Fondatore fu padre Bruno Hussar, nato in Egitto da famiglia ebraica, poi convertitosi al cattolicesimo diventando sacerdote e religioso domenicano. Nel 1977 vi si insediò la prima famiglia. I membri di Neve Shalom Wahat al-Salam dimostrano in modo tangibile che ebrei e palestinesi possono senz’altro coesistere quando diano vita, assieme, a una comunità basata sull’accettazione, il rispetto reciproco e la cooperazione. Gestito in modo democratico, il villaggio è di proprietà dei suoi stessi abitanti e non è affiliato ad alcun partito o movimento politico. Di primaria importanza sono le attività educative per bambini e ragazzi. In queste settimane due rappresentanti del villaggio sono giunti in Italia per incontrare l’Associazione Italiana degli Amici di Neve Shalom Wahat al-Salam. Abbiamo chiesto al presidente Brunetto Salvarani di raccontarci quello che sta succedendo al villaggio con il conflitto in atto in questo momento.
Brunetto Salvarani
“I primi due giorni dopo il 7 ottobre sono stati terribili – afferma Brunetto Salvarani -, anche perché gli abitanti di Neve Shalom Wahat al-Salam vedevano e sentivano gli aerei e i droni passare sulle loro teste, non capivano quello che stesse succedendo. Per due giorni hanno deciso di fare altrettante riunioni divisi per nazionalità, quindi gli ebrei da una parte e i palestinesi dall’altra. Questo per dire il livello della tragicità, poi fortunatamente entrambi i gruppi hanno capito che se c’era un motivo per cui Neve Shalom Wahat al-Salam aveva bisogno di essere raccontato, di esserci, era proprio in quel momento lì, in quel momento si trattava di dire: ‘guardate le ragioni del nostro lavoro educativo, del nostro lavoro scolastico, del nostro lavoro profetico’, e da allora si stanno ampiamente prodigando per la diffusione delle informazioni. C’è un sito degli amici di Neve Shalom Wahat al-Salam (www.oasidipace.org) sempre aggiornato. Li abbiamo incontrati la settimana scorsa: un giovane ebreo, diventato papà l’8 ottobre, cioè proprio in quei giorni, il segno della vita che nonostante tutto va avanti, e una palestinese, fra le responsabili storiche, che è stata anche sindaca. Sono stati momenti molto intensi.
Questi due rappresentanti hanno fatto un giro di visite in cui è stato coinvolto anche il quotidiano Avvenire, che aveva lanciato una campagna per raccogliere soldi per le mamme delle famiglie che vivono al villaggio e per la scuola, quindi è stato un modo anche per far conoscere maggiormente il villaggio stesso, che non è mai troppo conosciuto, e soprattutto ci hanno trasmesso una grande carica di speranza. Eravamo a Milano, loro hanno girato soprattutto tra la Svizzera italiana, Bergamo, Milano appunto, e hanno incontrato tanta gente. Tutti erano colpiti non tanto dalla loro serenità, perché sarebbe stupido dirlo, ma dalla loro convinzione profonda che l’unica strada possibile sia quella dell’educare alla pace, convivere con il nemico e investire nella scuola, nella formazione, nell’educazione e in un’educazione alla Pace. Non ci sono altre strade possibili. Questo è un grande messaggio credo anche per noi e per gli altri conflitti che ci sono nel mondo. Si tratta di capire se i potenti del mondo hanno voglia di comprenderlo e di investire in questa direzione, per ora c’è qualche dubbio a riguardo”.
Professor Salvarani, parlando di Neve Shalom Wahat al-Salam viene in mente l’incontro nell’ambito della Arena di Pace a Verona, qualche giorno fa, con quell’abbraccio che ha colpito tutti, tra appunto un israeliano, i cui genitori sono stati uccisi da Hamas, e un palestinese, il cui fratello è stato ucciso dall’esercito israeliano. E’ questa, ovvero la riconciliazione, l’unica strada percorribile?
Intanto diciamo che l’Arena è stata veramente una degna prosecutrice di quelle arene degli anni ‘80 che hanno segnato la Chiesa Italiana, e la presenza di padre Alex Zanotelli a fianco di Papa Francesco era lì a rappresentarlo plasticamente. Sì anch’io sono rimasto molto colpito da quell’abbraccio, chi c’era, che me ne ha parlato, ha raccontato che quella è stata davvero l’icona di qualcosa di nuovo e a me è venuto in mente quanto scriveva il Cardinal Martini tornando proprio da Gerusalemme, dove aveva deciso di andare alla fine del suo ministero milanese nel 2002. Un giorno, tornato in Italia, scrisse un articolo per Il Corriere della Sera che ancora oggi è attualissimo perché diceva esattamente questo: o noi riusciamo a vedere il volto dell’altro, ma soprattutto il dolore dell’altro, immedesimarci nel dolore dell’altro, oppure non riusciremo a uscire da questa situazione drammatica. Quindi Martini diceva: dobbiamo educarci a vedere il dolore dell’altro, sapendo che non è facile, sapendo che invece quando uno è addolorato pensa soprattutto al proprio dolore. Quell’abbraccio a Verona ci dice che non è impossibile, e allora, un grande messaggio di consolazione e un grande messaggio che va anche molto al di là della situazione in Israele e Palestina, sconfina in Ucraina, sconfina in Africa, in tutte le terre in cui purtroppo ancora oggi l’uomo sembra essere quello cantato dal poeta Quasimodo: ‘sei ancora quello della pietra e della fionda uomo del mio tempo’.. Noi però speriamo che davvero le cose un domani possano cambiare.
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