L’invito a papa Francesco da parte dei grandi della terra a parlare di Intelligenza Artificiale
In punta di spillo, una rubrica di Bruno Fasani
Meriterebbe d’essere considerata molto più di una semplice notizia il fatto che il papa sia stato invitato dai G7, ossia dai Paesi più industrializzati del mondo (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Giappone, Italia, Germania, Francia) a parlare di Intelligenza Artificiale (IA) durante il loro incontro nel prossimo mese di giugno. Qualcuno ha voluto vedere l’iniziativa come una furbata politica del governo italiano per appuntarsi crediti a buon mercato, mentre altri, anche tra i cattolici, hanno visto, nell’adesione di papa Francesco, una forma di protagonismo politico fuori da quelle che dovrebbero essere le competenze di un vicario di Cristo.
La notizia merita, in realtà, due considerazioni di fondo. La prima riguarda il superamento, almeno da parte di importanti capi di governo mondiali, di quella frattura tra fede e scienza e tra laicità e religione che si vorrebbero inconciliabili e irriducibilmente nemiche. Ricordo con sofferenza il 18 gennaio del 2008, quando fu impedito a papa Ratzinger di entrare all’università La Sapienza di Roma, in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. In una lettera dai toni violenti, indirizzata al rettore dell’epoca, il professor Marcello Cini scriveva: «Il disegno del Papa mostra che nel suo nuovo ruolo l’ex capo del Sant’uffizio non ha dimenticato il compito che tradizionalmente a esso compete. Che è sempre stato e continua a essere l’espropriazione della sfera del sacro immanente nella profondità dei sentimenti e delle emozioni di ogni essere umano da parte di una istituzione che rivendica l’esclusività della mediazione fra l’umano e il divino… Ora ha tuttavia cambiato strategia. Non potendo più usare roghi e pene corporali ha imparato da Ulisse. Ha utilizzato l’effige della Dea Ragione degli illuministi come cavallo di Troia per entrare nella cittadella della conoscenza scientifica e metterla in riga».
L’avvento dell’IA nello scenario scientifico, con tutte le possibili applicazioni, dagli effetti irreversibili nel bene e nel male, ha portato di fatto l’umanità a porsi domande non più rinviabili. Che cosa caratterizza l’umano tale da distinguerlo da tutto il resto che esiste? E, di conseguenza, che cosa non possiamo permetterci di perdere? Cosa vogliamo migliorare o mettere al sicuro, prima che l’uomo distrugga se stesso? E quali principi etici, condivisi senza barriere ideologiche, vanno recuperati per evitare l’abisso di una società disumanizzata? È la coscienza di un possibile pericolo gravissimo che ha fatto saltare le barriere dei pregiudizi, quelli che volevano la Chiesa nemica della scienza e della tecnica, impedendole di entrare negli spazi della laicità. Ora sono i politici più potenti del mondo a riaprire le porte, chiedendo al magistero di cooperare in questa ricerca di cosa sia davvero il bene dell’uomo.
Parlare oggi di IA non è tanto per creare inutili allarmismi. Sappiamo bene che essa, se correttamente guidata, come ogni mezzo può prestarsi a scoperte ed applicazioni straordinarie. Quello che non va dimenticato è che le sue applicazioni discendono dall’intelligenza umana. È sempre l’uomo che decide se fare di una scoperta un arricchimento per l’umanità o un’arma per distruggerla. Da qui il bisogno di recuperare i fondamenti etici. E senza dimenticare che pericolose teorie sul transumanesimo stanno facendo capolino per annunciare che il futuro dell’umanità dovrà essere consegnato alla tecnica e non più all’uomo. Lo spazio non ci consente di esemplificare, ma il laboratorio malefico di Mister Hyde sembra dotato di minore fantasia, rispetto a quanto stanno proponendo certe teorie alla moda.