Lavoro, dignità e felicità
Il 1° maggio tra legami e priorità per la persona
di Edoardo Patriarca, presidente ANLA
In un incontro avuto alcuni giorni fa a Bologna con la Fraternità Francescana sono tornato sul tema, a me molto caro, della promozione della cultura del dono e delle sue ricadute sugli stili di vita e la società civile, sull’economia e la politica. Vorrei continuare la riflessione declinando la cultura del dono nella giornata che celebra il Lavoro, la festa del 1° maggio perché conversare insieme di lavoro e di cultura del dono ci aiuta a recuperare il significato profondo del primo articolo della Costituzione che fonda la nostra Repubblica. Un significato che va ben oltre la concezione riduzionistica che nei decenni scorsi ha conquistato ampio consenso nella cultura economica ed aziendale. Un lavoro regolato e ridotto al solo strumento contrattuale, ad una organizzazione aziendale misurata sul criterio di efficienza, orientata al raggiungimento di obiettivi strumentali e strettamente economici, sulla contingentazione dei tempi, su un modello organizzativo che non valorizza le persone e non produce alcuna relazione. Il primo articolo della Costituzione è centrato sulla persona e la sua dignità inviolabile, sul lavoro che costruisce bene comune giorno dopo giorno. “La nostra Carta indica il diritto al lavoro che, a ben vedere, è un altro modo di declinare la dignità umana, fatta di realizzazione personale e di strumenti di sostentamento, sulla strada della felicità. Questo è un impegno impresso come incipit nella nostra Costituzione e ripreso nei primi quattro articoli con una chiarezza e una forza eccezionali”. Il lavoro come via verso la felicità: è una immagine forte e coraggiosa che propone il Presidente Mattarella, un’icona che provoca e invita all’impegno affinché il lavoro, indicato come fondamento della Repubblica, sia effettivamente una via per la piena realizzazione personale.
Proviamo ad individuare qualche congiunzione tra cultura del dono e vita lavorativa. Nei fondamenti teorici dell’economia, il valore d’uso e il valore di scambio sono i due indicatori che muovono lo scambio di beni e servizi, regolato dal principio di equivalenza. La cultura del dono rompe questo binomio e introduce un terzo valore, il valore di legame, negletto e dimenticato ma che oggi, nell’economia e nella cultura aziendale e nelle risultanze di numerosi studi e ricerche, è ritenuto un fattore decisivo perché l’azienda sia più competitiva, più capace di innovazione e di ricerca, e di legami con il territorio. Quali sono le conseguenze concrete e quale trasformazione può indurre il valore di legame assunto nella vita lavorativa? Anzitutto la retribuzione che deve essere dignitosa se si vuole che la relazione lavorativa rispetti la dignità delle persone: non sono più accettabili salari al limite della sopravvivenza, rapporti di lavoro schiavistici, lavoro nero e sommerso che negano un rapporto fondato sul rispetto reciproco e sulla fiducia. Se non è così ne risentono il clima aziendale e il benessere di tutti, irrimediabilmente compromessi da stress, sospetto e competizione, controlli e diffidenza, non coinvolgimento e lontananza. Le forze politiche, le istituzioni, le organizzazioni datoriali e sindacali trovino il giusto accordo per garantire a tutti un salario dignitoso come ha raccomandato in questi giorni la OIL. Valore di legame è aiutare la conciliazione tra lavoro e vita privata, più sostenibile perché la vita è una. Solo così si garantisce il diritto al lavoro per tutti, alle donne da sempre le più penalizzate, con una alleanza a favore della genitorialità che metta al centro il benessere dei lavoratori, aiutati da un welfare aziendale non concesso come benevola regalia, un benefit, ma un elemento strutturale della strategia aziendale.
Valore di legame è garantire la libertà di scelta: troppi sono i giovani che decidono di emigrare per lavoro. Vivere in un altro paese deve essere una scelta libera, una occasione per accrescere la propria formazione e per intraprendere percorsi di carriera più fruttuosi. Insomma, per utilizzare lo slogan del festival della migrazione: liberi di restare, liberi di partire. Non ultimo, valore di legame è proteggere la vita nel lavoro. L’Italia è maglia nera per i morti sul lavoro. Troppo frequentemente, passato il cordoglio, esaurito lo sdegno, i riti e le visite indignate e preoccupate, tutto cade nel dimenticatoio… in attesa del prossimo incidente mortale. L’unica Istituzione che non ha mai smesso di prendere posizione e richiamare alla responsabilità è la Presidenza della Repubblica: “la sicurezza non è un costo… è un dovere, dobbiamo combattere questo flagello, e non stiamo facendo abbastanza”. È mai possibile che su questo versante non si attivino strumenti adeguati, norme più stringenti e più controlli? È mai possibile che le forze politiche, tutte, non trovino un comune progetto per impedire questo scempio?