A te la mia lode, Signore, nella grande assemblea
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 28 aprile 2024
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
A cura di Sergio Ricchetti, Coordinatore del Laboratorio teologico Realino
Lectio
Spesso Gesù, nel vangelo di Giovanni, comincia le sue parole di rivelazione dicendo “Io-Sono”, con esplicito riferimento alle iniziali del Nome con il quale Dio si è rivelato a Mosè (Es 3,14) e Gesù lo usa in modo assoluto dicendo “Io-Sono” (Gv 8,58), oppure specificato da un attributo: Io-Sono il pane della vita (Gv 6,35), Io-Sono la luce (Gv 8,12), e in questo testo dice: “Io-Sono la vera vite”.
Perché questa specificazione? E’ evidente lo sfondo veterotestamentario dell’immagine della vite e della vigna, con cui viene identificato più volte Israele. E’ intenzione del Signore non solo di fare propria questa immagine, ma anche e soprattutto di evidenziarne il compimento. La vigna scelta da Dio e da Lui preparata con cura (Israele), trova il suo compimento nella persona di Gesù di Nazareth, la vera vite di cui vignaiolo e padrone è il Padre stesso. Coloro che sono legati a questa vite, vi appartengono in qualità di tralci e hanno una particolare qualità definita “purezza”, motivata dall’annuncio della Parola. Ai tralci non resta che rimanere uniti alla vera vite, per essere esattamente tralci, che portano molto frutto e che vivono, di conseguenza, la relazione del discepolato. Portare molto frutto divenendo sempre più discepoli del Signore è il modo per rendere gloria al Padre che è nei cieli, lodarlo e glorificarlo.
Meditatio
Al versetto 2 se venisse tradotto il verbo potare con purificare si conserverebbe il rimando all’aggettivo puri. La purificazione del cuore non consiste nel privarsi di qualcosa, quanto piuttosto nel fare largo a Gesù, alla sua Parola, permettergli di prendere dimora nel nostro cuore, facendo “piazza pulita” di tutto ciò che non è lui, che nell’Antico Testamento andava sotto il nome di “idoli”. Il modo migliore per sbarazzarsene è guardare a Gesù, ascoltare la sua Parola, farle largo nel nostro cuore. Più la si accoglie, più lo spazio lasciato agli idoli si restringe: questa è l’arte della potatura che il Padre compie con sapienza.
C’è tutto un lavoro di potatura che il Signore fa in noi; prima di tutto recide ciò che è male e questo è quasi più facile perché il male si vede – essere liberi dal male è anche bello -, poi c’è un altro lavoro più profondo: c’è quel male nascosto frammisto al bene, che è più difficile da togliere. Anche nella vita spirituale si può cercare la propria volontà, i propri gusti, i propri piaceri, il proprio benessere, cioè il proprio egoismo. Nel bene, il male esce allo stato più sottile. C’è tutto un cammino di purificazione che il Signore opera in noi e non ci si può sottrarre a questo. E questa purificazione avviene mediante l’ascolto della Parola.
Oratio dalla colletta del giorno
O Dio, che ci hai inseriti in Cristo come tralci nella vite vera, confermaci nel tuo Spirito, perché, amandoci gli uni gli altri, diventiamo primizie di un’umanità nuova.
Contemplatio
Il Vangelo di oggi, sebbene si riferisca all’ultima cena prepasquale di Gesù coi suoi, pone l’accento sulla comunione che i credenti di ogni tempo vivono con il Signore Risorto e sul come custodire e vivere tale comunione.
Fractio
Il Signore ci chiede di rimanere in lui per portare molto frutto; senza di lui non possiamo fare nulla! A quale frutto si riferisce se non al più prezioso che è la santità della nostra vita? La santità non è solo adempiere una legge o vivere una morale ma è innanzitutto un’amicizia, una relazione con Dio che ci è venuto incontro in Gesù di Nazareth. Solamente partendo da questa comunione con lui possiamo essere capaci di vivere veramente la nostra umanità e di poterla gustare in pienezza. Rimanere è il punto di arrivo di un lungo cammino. Rimanere è andare, essere discepoli missionari. (EG 120) E’ Cristo che rende possibile la realizzazione della giustizia vera, della solidarietà che non si spegne, della pace duratura, della vita buona.
L’opera d’arte
Angelos Akotantos, Cristo vera vite (XVI secolo), Atene, Museo bizantino e cristiano. “Cristo vera vite” è un soggetto caro all’arte delle icone. Ne proponiamo, per la particolarità del contesto storico in cui fu dipinta – o meglio scritta, come direbbero gli iconografi -, una delle prime versioni a noi giunte, attribuita ad Angelos Akotantos, attivo nella prima metà del Quattrocento a Creta, allora sotto il dominio di Venezia. Secondo gli studiosi, quest’opera è da mettere in relazione con il Concilio di Ferrara-Firenze, che portò il 6 luglio 1439 all’unione fra la Chiesa greca e quella latina, durata soltanto fino alla presa di Costantinopoli nel 1453. Nel punto di incontro di due tronchi spunta il busto di Cristo, con il Vangelo aperto alla pagina del brano di Giovanni, le braccia allargate ed entrambe le mani benedicenti gli apostoli, posti in due gruppi di cinque “tondi” creati dall’avvolgersi dei tralci. Ad essi, si aggiungono Pietro e Paolo, ai due lati di Gesù. La loro posizione alla pari, quali fondatori della Chiesa d’Occidente e di quella d’Oriente, riflettono molto probabilmente le istanze del Concilio, di cui Akotantos si fece interprete con la sua arte.