La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo
La diocesi di Carpi legge il Vangelo - Vangelo di domenica 21 aprile 2024
Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
A cura di Suor Lorenza Lai, Minima dell’Addolorata Commissione diocesana per la pastorale vocazionale
Lectio
Nella quarta domenica del tempo di Pasqua, la liturgia ci propone la seconda parte (vv. 11-18) del brano del Buon Pastore, che troviamo al capitolo 10 del Vangelo di Giovanni. L’immagine del pastore che guida e protegge il gregge è cara all’Antico Testamento, infatti è stata applicata a Dio (Sl 23; Is 40,11; Ger 31,9), al re messianico (Sl 78; Ez 37,24), alle guide di Israele (Ger 2,8; Ez 34). È utilizzata spesso anche nei Vangeli sinottici, quando presentano Gesù come pastore secondo il cuore di Dio. Egli ha compassione per le folle che sono allo sbando, perché senza pastore, e se ne prende cura: le sfama (Mt 9,36) e le guida (Mc 6,34). È il pastore misericordioso che va in cerca della pecora perduta e la riporta a casa (Mt 18,12; Lc 15,4-6). Per l’evangelista Giovanni, Gesù è il pastore bello che conosce le sue pecore una per una e per esse dona la sua vita.
Meditatio
Un primo elemento di riflessione è la contrapposizione tra il pastore bello e il mercenario, dove “bello” non è semplicemente un aggettivo estetico, ma richiama l’autenticità e la bontà di chi fa bene il proprio lavoro. Il pastore offre totalmente la sua vita per le pecore, infatti quando vede arrivare il lupo non abbandona il gregge. All’opposto troviamo il mercenario, che guida un gregge che non gli appartiene solo per interesse, infatti non esita ad abbandonarlo quando vede giungere il pericolo. Se il pastore è colui che agisce secondo il cuore di Dio e offre la sua vita, il mercenario è colui che fallisce proprio nel momento decisivo e soprattutto non dà la sua vita per il gregge.
Un secondo elemento di riflessione è capire per quale motivo il pastore offre la propria vita per le pecore: Egli le conosce una ad una. Questa conoscenza non è legata all’intelligenza ma ad un rapporto intimo e personale. Il Signore ci conosce personalmente (Sl 138), e questa conoscenza trova la sua sorgente e la sua pienezza nell’amore che lega il Figlio al Padre. La manifestazione più alta di questo amore, verso ogni uomo, è la morte in croce che Gesù anticipa negli ultimi versetti quando dice che nessuno gli toglie la vita ma è Lui che la dona. Quanta speranza e gioia infondono nel nostro cuore queste parole di Gesù! Che cosa c’è di più bello che sapere di essere importanti per Qualcuno? Talmente importanti che Egli si prende cura di ognuno e per ognuno offre la sua vita.
Oratio
«“Dare vita” significa contagiare di amore, libertà e coraggio chi avvicini, di vitalità ed energia chi incontri. Significa trasmettere le cose che ti fanno vivere, che fanno lieta, generosa e forte la tua vita, bella la tua fede, contagiosi i motivi della tua gioia» (Ermes Ronchi).
Contemplatio
In questa domenica ricorre la 61° Giornata mondiale di preghiera per le vocazioni. Ricordiamoci che noi battezzati siamo dei “vocati”, cioè dei chiamati. Chiamati innanzitutto a riconoscere la voce del pastore e in questo ci aiuta l’assidua frequentazione della Sacra Scrittura. Poi siamo invitati a rispondere a questa chiamata dell’Amore con l’amore, cioè con l’offerta della nostra vita a Dio e al “gregge” che ci è consegnato: famiglia, amici, colleghi e tutti quelli che incrociamo nella nostra esistenza.
Fractio
«E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo popolo, un solo pastore». A volte, noi cristiani, crediamo di dover difendere l’ovile, ma Gesù ci dice che l’unica cosa che dobbiamo fare è tenere la porta aperta perché tutti abbiano la possibilità di entrare a far parte del gregge di Dio, della Chiesa.
L’opera d’arte
Gesù Buon Pastore (fine del III-inizi del IV secolo), Musei Vaticani, Museo Pio Cristiano. La statuetta, proveniente dalle catacombe di San Callisto – una sua versione stilizzata è il logo della Conferenza Episcopale Italiana – non fu realizzata come pezzo a se stante, bensì quale elemento di un monumentale sarcofago. In essa vediamo come un soggetto molto diffuso nel mondo greco-romano, vale a dire il pastore con l’agnello sulle spalle, sia divenuto nell’arte paleocristiana veicolo di un messaggio nuovo, che leggiamo nel vangelo di questa domenica, la rivelazione di Gesù come “Buon Pastore”.
Ed è secondo il modello classico che Cristo è qui rappresentato idealmente come un giovane: senza barba, dal fisico snello, i capelli fluenti in lunghi riccioli a coprire le orecchie. Indossa una tunica senza maniche e, a tracolla, una sporta per le provviste, mentre, con il capo volto da un lato, tiene ben saldo l’agnello sulle spalle. Quest’ultima figura è comunemente interpretata come la “pecorella”, ovvero l’anima, salvata dall’amore di Cristo, ma è forse possibile leggervi anche un riferimento a Gesù stesso, “agnello sacrificale” che dona la sua vita per la salvezza del mondo.
V.P.