Ancora verso Emmaus?
Riflessioni sull’“entusiasmante dinamica” della Pasqua di Gesù, nella festa vissuta con i nativi del Canada
di Don Luca Baraldi
Quest’anno sono stato mandato a celebrare il triduo santo in una piccola ed isolata comunità sul lato sud est del Great Slave lake, abitata da nativi Chipewyan: Lutslk’é. Non posso dire che siano accorse le folle in chiesa per i vari momenti liturgici, tutt’altro. E neppure sarei onesto se dicessi che la solennità esteriore è stata la nota caratterizzante le liturgie. Ad ogni modo è stato bello vivere con loro, nei misteri, il cuore della nostra fede.
La domenica di Pasqua, terminata la messa e la visita a un paio di anziani, nel pomeriggio, ho partecipato ad un momento conviviale organizzato per tutta la gente del villaggio, una sorta di merenda a cui tutti potevano prendere parte ed a cui chi voleva poteva condividere pietanze e prelibatezze varie. Questo, che all’apparenza era solo un buffet, in realtà è stato il modo elegante e rispettoso attraverso il quale la comunità si è fatta carico di chi non ce la fa a provvedere il cibo per sé e per la propria famiglia, in un giorno solenne come quello.
Mentre mi trovavo nella sala della festa, fra bambini che correvano ed anziani che parlavano al microfono, mi è venuto in mente un pensiero: nel momento in cui io ero seduto lì, da qualche parte nel mondo, durante la messa vespertina di Pasqua, veniva proclamato il Vangelo dei discepoli di Emmaus. Quei due, immagine di una chiesa delusa e ferita, pensavano di trovare il loro avvenire solo tornando al loro passato; che la “strada di casa” fosse quella di un amaro dietrofront.
Non ho potuto fare a meno, quasi in una sorta di flusso di coscienza, di mettere a confronto la scena evangelica con alcune foto, che poco prima avevo visto sui social network, di chiese con vecchi altari, inutilizzati nell’odierna liturgia, addobbati per la Pasqua come si usava cento anni fa, con grandi candelabri, paludamenti un po’ ammuffiti in stile rococò, fiori a profusione… E con questo mi sono domandato: ma non è che stiamo ripetendo lo stesso percorso dei due raccontati nel Vangelo di Luca? Non è che pensiamo più alla nostra vecchia cara Emmaus come meta del nostro cammino di fede, piuttosto che alla sconvolgente ed entusiasmante dinamica della Pasqua di Gesù?
La scena di semplicità e fraternità in cui ero immerso, così lontana dalle immagini che avevo nella mente, assumeva il suo pieno significato. E mi sono detto: ecco il mistero che queste persone di Lutslk’é, con la loro festa per tutti, ma soprattutto per i poveri, hanno saputo incarnare. Quello di chi vede la “via di casa” nella cura per i più fragili e per i più piccoli. Quello di chi, nello spezzare il pane, trasforma il presente in tempo opportuno per non smettere di convertirsi e lasciarsi riaccendere il cuore dalla presenza di Colui che, risorto dai morti, ha promesso di volersi identificare con tutti i deboli e gli ultimi della terra. Così, con un’espressione cara a Papa Francesco, chiedo per tutti noi la capacità di lasciare perdere ogni forma di “indietrismo” e permettere alla gioia della Pasqua di spingerci a camminare sulla “strada di casa”, quella vera, quella che ci porta ad essere un cuore solo ed un’anima sola.