Camminerò alla presenza del Signore nella terra dei viventi
Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
A cura delle Sorelle Clarisse
Lectio
Il Vangelo di questa Domenica inizia con la salita su “un alto monte” di Gesù, Pietro, Giacomo e Giovanni e termina con la loro discesa a valle. Gesù, prima della Sua passione, prendendo con sé quelli che aveva scelto tra i suoi discepoli, è salito sul monte Tabor, per mostrare loro la Sua gloria. Così li ha voluti preparare al mistero della Sua Passione, morte e Resurrezione.
Il monte è il luogo sacro per eccellenza perché sulla sua vetta si realizza l’incontro della divinità che discende e dell’uomo che sale. È il luogo dell’incontro fra Dio e la sua creatura, dove il cielo tocca la terra. Ascendere il monte della trasfigurazione sotto la guida di Cristo comporta un’ascesi spirituale che conduce alla conoscenza del volto di Dio.
Al centro della scena c’è Gesù trasfigurato risplendente di una luce che non lo investe dal di fuori, ma proviene dal suo interno. Gesù brilla di luce propria, non riflessa; sul suo volto non rifulge solo la gloria di Dio, come accadeva sul volto di Mosè dopo che aveva conversato con Lui (cfr. Esodo 34,29-35), ma risplende, come propria, la gloria stessa di Dio, perché egli è “irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza” (cfr. Eb 1,3). Mosè ed Elia, sono al suo fianco e discutono con lui. Essi sono stati visti come rappresentanti, il primo della legge e, il secondo, dei profeti.
Secondo San Paolo “tutta la pienezza della divinità abita corporalmente” l’umanità del Cristo, “fiaccola di vetro” attraverso la quale risplende la luce della Trinità. La trasfigurazione, di fatto, è anche quella degli apostoli, i quali per un istante ricevettero la grazia di vedere l’umanità del Cristo come un corpo di luce, di contemplare la gloria del Signore nascosta sotto la sua kenosis. È comprensibile che davanti a tutta questa gloria, Pietro dica “è bello per noi restare qui”, ma subito Gesù li fa scendere dal monte e ritornare a valle: ora dovranno vivere con Lui la Passione e la croce con negli occhi questo squarcio di Eternità che li ha raggiunti.
Meditatio
In questa pagina del Vangelo l’immagine del mondo futuro ci raggiunge come una vera festa della Bellezza e così non celebriamo solo la Trasfigurazione di Cristo, ma anche la nostra Trasfigurazione. Possiamo contemplare Gesù che s’intrattiene con Mosè ed Elia e parla loro della sua Passione, della Bellezza crocifissa. Nel nostro cammino verso la Risurrezione è inevitabile il passaggio attraverso la morte, questa festa di luce all’inizio del cammino quaresimale ci ricorda però che la Croce risplende già della luce del mattino di Pasqua.
Oratio
Gesù, ti sei trasfigurato sul monte e i tuoi discepoli hanno contemplato, come hanno potuto, la tua gloria, affinché quando ti avrebbero visto crocifisso potessero credere volontaria la tua passione e poi predicare al mondo che tu sei veramente lo splendore del Padre. Donaci il loro stesso sguardo luminoso che sappia riconoscere nella via della Croce, il passaggio necessario per vivere nell’Amore.
Contemplatio
Santa Chiara d’Assisi sapeva bene che l’itinerario di ogni cristiano è, attraverso la contemplazione di Cristo, splendore della Gloria del Padre, venire trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito in lui (cfr. 2Cor 3,18). L’uomo diventa ciò che contempla. E infatti dice alla sua compagna Agnese di Praga: “e poiché Cristo è splendore della gloria, candore della luce eterna e specchio senza macchia, guarda ogni giorno questo specchio e in esso scruta continuamente il tuo volto…trasformati tutta, attraverso la contemplazione, nell’immagine della sua divinità”.
Fractio
“Fu trasfigurato davanti a loro”. E’ necessario anche per noi, come per i discepoli vedere questo volto pieno di luce. E quando la luce svanisce e se ne va, lasciamola andare, scendiamo dal monte ma non dimentichiamola, custodiamo la memoria della luce vissuta. Così sarà per i discepoli quando tutto si farà buio, quando il loro Maestro sarà preso, deriso, spogliato, torturato, crocifisso. Come loro, anche per noi nelle nostre notti, sarà necessario cercare negli archivi dell’anima le tracce della luce, la memoria del sole per appoggiarvi il cuore e la fede.
L’opera d’arte
Lorenzo Lotto, Trasfigurazione (1510-12), Recanati, Museo Civico Villa Colloredo Mels. Pur ispirandosi all’omonima opera del Perugino, la tavola realizzata dal grande maestro veneziano Lotto, con una composizione a doppio triangolo, appare caratterizzata da una drammatica dinamicità. Si notino le pose contorte dei tre apostoli in basso, presi da timore per la visione a cui stanno assistendo. In alto, vertice convergente di tutti i moti direzionali delle figure è il volto di Gesù, che si staglia su di un limpido spazio atmosferico dove, dalla nube, esce la scritta con le parole del Padre, “questi è il figlio mio diletto”.
Ai lati di Cristo si trovano le figure dei profeti Mosè ed Elia, con aureole di sottilissimo filo dorato, il primo con il busto rivolto verso l’osservatore, il secondo di spalle, a controbilanciarlo. Tra l’assegnazione dell’incarico e la consegna di quest’opera, Lotto aveva soggiornato a Roma: il contatto con Raffaello e Michelangelo fu per lui l’abbandono d’ogni retaggio quattrocentesco, per cercare, stimolato dalla produzione dei due sommi artisti, un proprio linguaggio pittorico, quello che gli ha valso la fama di “genio inquieto del Rinascimento”.
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